Il professor Stefano Zamagni protagonista insieme al premio Nobel Amartya Sen alla Fondazione Gorrieri della Lettura annuale Ermanno Gorrieri (rivedi il convegno sul nostro sito www.gazzettadimodena.it) presso l'auditorium Marco Biagi
Si è tenuta la Lettura annuale Ermanno Gorrieri (rivedi il convegno sul nostro sito www.gazzettadimodena.it) presso l'auditorium Marco Biagi il Premio Nobel per l'Economia Amartya Sen è chiamato a tenere una lezione su "Disuguaglianze e giustizia sociale. L'idea di giustizia", abbiamo parlato delle disuguaglianze esistenti nel nostro Paese e delle possibili soluzioni per cercare di attenuarle col professor Stefano Zamagni dell'Università di Bologna (economista, presidente dell'Agenzia per il terzo settore) che insieme ad Elena Granaglia ha dialogato con Sen.
«Nell'ultimo quarto di secolo le disuguaglianze sia per reddito che per ricchezza, in Italia come in altri Paesi, sono aumentate tragicamente: uno studio recente della Banca d'Italia documenta che fino al 1990 le disuguaglianze erano calate, anche se di poco, ma a partire dagli anni Novanta ad oggi sono aumentate così come le disuguaglianze sia territoriali che intersettoriali - ha spiegato Zamagni - Ci sono delle ragioni specifiche che motivano questo fenomeno: la globalizzazione e la terza rivoluzione industriale delle nuove tecnologie. La globalizzazione ha avuto due effetti: la delocalizzazione da un lato e i nuovi flussi migratori dall'altro, che hanno fatto sì che le imprese riescano ad ottenere abbattimenti dei costi del lavoro o portando all'estero rami d'impresa o sfruttando il lavoro spesso nero degli immigrati. Per spiegare adeguatamente le disuguaglianze, a ciò occorre aggiungere la terza rivoluzione industriale che ha generato la knowledge economy, l'economia della conoscenza: è dimostrato empiricamente che un'economia basata sulla conoscenza cioè sulla produzione di idee, innovazioni, creatività varie è un economia che a parità di condizioni tende ad essere più ineguale che non un economia basata sulla produzione di cose, di merci. Questo accade perché le differenze interumane sul piano della produzione e della conoscenza sono di gran lunga superiori a quelle legate alla produzione della merce e la terza rivoluzione industriale ha fatto sì che le posizioni di vantaggio competitivo siano legate alla conoscenza. L'aumento delle disuguaglianze è un problema serio, in primis sotto il profilo etico perché distrugge un principio base quale è il principio di uguaglianza: non si può parlare di questo principio in un Paese come il nostro, dove ci sono 10 persone, con nome cognome, che hanno lo stesso patrimonio di 3 milioni di persone, come rivela un dato fornito dalla Banca d'Italia in un saggio da poco pubblicato. L'aumento delle disuguaglianze è pernicioso perché mette a repentaglio la democrazia e questo Aristotele l'aveva già capito: il principio democratico per funzionare, presuppone, come sosteneva già Aristotele, una relativa eguaglianza nell'accesso alle risorse. Inoltre l'aumento delle disuguaglianze mette a repentaglio lo sviluppo economico che presuppone l'accesso ai mercati da parte di tutti. Pertanto, le ragioni etiche, politiche ed economiche ci dicono che l'aumento delle disuguaglianze è il cancro della nostra società». Che fare dunque? L'aumento delle disuguaglianze sembra c'entrare poco con la crisi, dal momento che esse hanno cominciato ad aumentare dal 1990 quando della crisi non c'era nemmeno l'ombra. «Bisogna evitare di cadere nella trappola logica e metodologica di chi attribuisce a questa crisi che è nata quattro anni fa tutti i mali del mondo - ha infatti affermato Zamagni - Un modo per ridurre le disuguaglianze che la crisi ha accelerato ma non generato, è legato alla creazione, nel senso di dare ali a tutti quei soggetti imprenditoriali che non sono, per scelta libera, sottoposti alla logica del profitto ovvero le imprese civili, che sono quelle imprese che producono (non redistribuiscono) beni, servizi e più in generale valori, che hanno come obiettivo il bene comune della comunità politica. Le imprese di tipo capitalistico devono continuare senz'altro ad operare però non troveremo mai la soluzione al problema della disuguaglianze se sul mercato lasciamo operare solo imprese di tipo capitalistico. Basta dare ali alle imprese civili che sono più imprese delle altre, perché creare posti di lavoro avendo di mira il profitto è più facile che fare le stesse cose avendo obiettivi di utilità sociale e di pubblico beneficio. Occorre liberare il terreno da tutti quei lacci che impediscono alle imprese civili di decollare se vogliamo diminuire le disuguaglianze e cambiare il modo di pensare il processo economico che deve essere pluralistico. Chi ama la libertà oltre che la giustizia non può non ragionare in questi termini».
Laura Solieri