Il premio Nobel scettico sulle manovre di austerità volute dall'Europa: «Difficile che tanti sacrifici portino sostenibilità».
Un grande economista nato in Bengala che parla di Europa, disuguaglianze, giustizia, rigore e austerità per i popoli esprimendo dubbi sulla portata delle manovre europee sul debito pubblico attualmente messe in atto.
Un pubblico numeroso ed eterogeneo composto da più di seicento persone (che, tra i tanti presenti, ha visto seduti nelle prime file il sottosegretario del ministero del Lavoro e delle Politiche sociali Maria Cecilia Guerra, il presidente dell'assemblea legislativa della Regione Matteo Richetti, il sindaco di Modena Giorgio Pighi, il presidente della Provincia Emilio Sabattini, l'assessore provinciale Elena Malaguti) era quello presente ieri all'auditorium Marco Biagi in occasione della Lettura annuale Ermanno Gorrieri che per la sua settima edizione ha ospitato Amartya Sen.
Il premio Nobel per l'Economia di origini indiane ha tenuto la lezione magistrale "Disuguaglianze e giustizia sociale. L'idea di giustizia".
«Quello che ci proponiamo ogni volta di fare con questo appuntamento annuale è di approfondire il tema dell'uguaglianza da perseguire e delle disuguaglianze da contrastare, filo di riflessione che animò la lunga vita di impegno sindacale, politico, sociale, economico di Ermanno Gorrieri», ha esordito il presidente della Fondazione Gorrieri, Luciano Guerzoni, ricordando in apertura la scomparsa del presidente della Fondazione Mario del Monte, Giuseppe Gavioli, con cui la Fondazione Gorrieri ha sempre collaborato.
«La disuguaglianza è composta da dimensioni diverse: accanto a quella economica, vi sono le disuguaglianze nelle libertà e capacità e capacitazioni umane, speculari alle disuguaglianze reddituali - ha chiarito in partenza Amartya Sen - Nel rapporto tra la disuguaglianza di reddito e le capacitazioni personali, cruciale è il ruolo dello Stato e dei servizi pubblici erogati, che la crisi ha fortemente ridotto (anche se occorre tener presente che non tutti i servizi pubblici hanno lo stesso impatto sulle disuguaglianze)».
Nel contesto della crisi economica europea, secondo Sen occorre riaffermare il ruolo della democrazia che contribuisce all'eguaglianza: «Bisogna dare ad ognuno la possibilità di esprimersi nello spazio pubblico; possibilità che è minata dai governi totalitari e, contemporaneamente, ovviare alle disuguaglianze perpetuate nel potere finanziario, cioè nella possibilità di controllare i mercati finanziari e di influenzare i governi nazionali per quanto riguarda le riforme da promuovere».
«Allo stato attuale, è molto difficile credere che i sacrifici che i potentati finanziari stanno richiedendo all'Europa saranno in grado di portare alla sostenibilità economica dei Paesi coinvolti e anche se essi fossero in grado di attuare tutte le misure a loro richieste, è dubbio che ciò comporterebbe la sostenibilità delle loro economie e la possibilità di riprendersi», ha proseguito Sen, sottolineando quanto sia paradossale vedere oggi le agenzie di rating responsabili della crisi economica del 2008, risorgere dalle ceneri e dire ai governi cosa devono fare.
Come ha affermato il premio Nobel per l'Economia, dialogando coi professori Chiara Saraceno, Elena Granaglia e Stefano Zamagni, passare dalla padella della cattiva gestione economica alla brace del provinciale e riduttivo obbedire alle esigenze dei creditori non aiuterà l'Europa ad uscire da questa situazione.
«Inoltre, pur essendo stato sempre a favore dell'unità europea, non ho mai approvato la decisione di avere un'unione monetaria europea senza operare allo stesso tempo un'unione fiscale e politica ma ciò che è stato fatto è stato fatto, e ciò che oggi bisogna fare è andare verso una riduzione dell'unilateralità del potere finanziario per introdurre quella democrazia così marginalizzata nel contesto europeo».
«C'è bisogno di lucidità intellettuale per capire cosa è successo», ha esortato in conclusione Sen, precisando come la crisi economica sia cominciata come fallimento del mercato e non dello Stato e come l'enorme debito pubblico che si è creato derivi dagli sforzi dello Stato di sostenere il sistema finanziario.
«Dare la priorità all'austerità come se si trattasse di un fallimento dello Stato riflette una certa debolezza del ragionamento pubblico. Adam Smith diceva che bisogna avere un'economia fiorente per aiutare le persone ad avere sufficiente reddito per mantenere se stessi e gli altri e per finanziare i servizi pubblici. Il sistema economico di cui abbiamo bisogno oggi deve implicare sia un'economia di larghe vedute che una politica democratica forte».