SECONDO L'ECONOMISTA OCCORRE PUNTARE SU INNOVAZIONE E GIOVANI. MA PRIMA D'INVIARE FIUMI DI DENARO AL MEZZOGIORNO BISOGNA INTERVENIRE SULLA CULTURA DELLO SVILUPPO A PARTIRE DALLA LOTTA ALL'ILLEGALITÀ L'ANTEPRIMA ALLA FIERA DI BARI

Domenico Castellaneta

Roma Innovazione e giovani. La rincorsa del Sud al resto d'Italia passa attraverso queste due strade. E mentre il ministro dello Sviluppo, Corrado Passera, agogna quell'idea forte per risollevare la crescita, nel Mezzogiorno si fanno i conti con la crisi più grave della vita italiana dal dopoguerra. «Ma la storia del Sud insegna che il problema vero non è la mancanza di soldi, sicuramente necessari, quanto più la visione e la strategia con le quali sono stati spesi. E' ora di cambiare il paradigma, ma nei fatti», spiega Carlo Borgomeo, docente universitario di Organizzazione aziendale, presidente della Fondazione "Con il Sud" che sarà tra i relatori (assieme all'assessore regionale Nicola Fratoianni e al presidente della Fiera del Levante Gianfranco Viesti, dell'anteprima del Festival dell'economia a Bari sabato 19 maggio. «Che cosa possiamo imparare dalle esperienze», il tema del convegno su recessione e crisi del debito che hanno aperto una «questione giovanile» e una «questione anziani». Borgomeo il Sud lo conosce bene: per 14 anni presidente (1986-1999) della Società per l'imprenditorialità giovanile, poi amministratore delegato di Sviluppo Italia, oggi sostiene che la crisi non è un problema, «ma un'occasione». Aggiunge: «Vi sono paradossalmente, più speranze che in altri momenti. Forse si può, davvero, ri-cominciare su basi nuove, in un quadro in cui le diseguaglianze

non siano addirittura immaginate come funzionali alla crescita ». Eppure anche la recessione viaggia a due velocità. Se a fine anno il pil medio segnerà meno 1,5 per cento (nella previsione più ottimistica), il conto maggiore verrà pagato dal Sud dove il prodotto interno lordo si contrarrà dell'1,8, con punte del 2. Non solo: ci saranno 42mila posti di lavoro in meno, con le famiglie meridionali che hanno già tagliato del 49 per cento gli acquisti per cibo e bevande, con i giovani che non hanno lavoro e non lo cercano più (quasi due milioni, dice l'Istat). Borgomeo spiega: «Il Sud è pieno di cose, imprese, centri di ricerca, associazioni, che vanno bene. Il problema, spesso, è che non fanno rete: che inseguono reti verticali, quasi temendo il loro contesto, il loro territorio. E finchè la politica si ostinerà a dar voce solo ai problemi, alle povertà, alle cose che non vanno, immaginando che il suo ruolo sia prevalentemente quello di rivendicare interventi da altrove, la situazione non migliorerà». La sindrome della debolezza, insomma, non paga. Anche se all'orizzonte non s'intravedono uomini o formule della provvidenza. «Non credo tanto alle ricette, buone o cattive che siano ? dice ancora Borgomeo ? se noi crediamo ancora, come negli ultimi sessant'anni, che il divario Nord-Sud si possa misurare solo in termini ricchezza prodotta, qualsiasi soluzione proposta sarebbe anacronistica e inefficace. Più che il pil, andrebbero visti i dati sulla dispersione scolastica, sui servizi sociali, sulla inoccupazione giovanile e femminile, la scarsa capacità di attrarre eccellenze con la conseguente emorragia di idee e talenti. Se dobbiamo affrontare il problema in termini di divario, allora è più veritiero vederlo nell'ottica di una questione sociale, di nuove povertà e di nuovi bisogni, di un tessuto civile sfilacciato e di mancanza di coesione sociale». Anche quelle forme di sviluppo sperimentate in questi anni non hanno funzionato. Perché? «È sviluppo eterodiretto ? risponde l'economista ? invece sarebbe opportuno guardare i problemi da vicino, partendo da una forte politica di educazione allo sviluppo, avviando percorsi di legalità, stimolando prassi di comunità, aprendosi alle innovazioni sociali e ai giovani, facendo emergere buona parte dell'economia sommersa, che sappiamo non essere solo criminale». I giovani prima di tutto, quindi. E prima di mandare loro fiumi di soldi occorre fare uno sforzo culturale profondo. Che cosa serve? Borgomeo: «Una forte cultura della legalità, dei beni comuni, del fare comunità e quindi una maggiore attenzione alle giovani generazioni, al rapporto intergenerazionale, all'integrazione degli immigrati, cioè dei segnali concreti di fiducia su cui innescare un processo di sviluppo partecipato ». Questo può essere il nuovo Sud. A patto, però, che prima delle formulette si affermi una cultura dello sviluppo e ci si convinca che «la coesione sociale è una premessa, non un effetto dello sviluppo e modificare la nostra legislazione in campo economico, come conflitto di interesse, falso in bilancio ed altre norme anticorruzione: la criminalità economica è, di fatto, favorita da una legislazione blanda in materia». Carlo Borgomeo presidente della Fondazione Con il Sud

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