Andrea Tavecchio.

Negli Stati Uniti è stato approvato il Jobs Act la legge che permette l'accesso alla raccolta di capitali anche alle società di limitate dimensioni per allargare la platea di nuovi investitori in start-up (vedi link su laVoce.info). Ottima idea, troppo spesso, invece, in Italia si sottovaluta il potere dei capitali privati e di una normativa, anche fiscale, intelligente e pro business per far ripartire la crescita facendo tornare la voglia di investire e rischiare.

Nell'attuale congiuntura economica le difficoltà di accesso al credito bancario e le limitate risorse iniziali a disposizione delle società in fase di start-up, specie se frutto di iniziative di imprenditoria giovanile, frequentemente in ambito internet, richiedono anche in Italia di facilitare l'approvvigionamento di risorse finanziarie attraverso il ricorso a canali alternativi e, in particolare, da imprenditori e investitori, tra cui i c.d. "angel investor". 

Come scritto recentemente da Pietro Fioruzzi in una riflessione sulle policy pro venture capital in Italia bisognerebbe (i) agevolare l'accesso al capitale di rischio da parte delle start-up e (ii) aumentare la visibilità delle nuove iniziative imprenditoriali sul mercato attraverso l'impiego di piattaforme on-line. Per farlo si possono pensare due riforme legislative molto semplici.

La prima l'abolizione del divieto di offerta al pubblico di quote di S.r.l.. Con questa modifica ci sarebbe la possibilità di attirare investimenti in una start-up semplicemente consentendo alle S.r.l. di effettuare offerte ad un numero ristretto di investitori, o limitate a determinate soglie quantitative di capitali raccolti. Una piccola grande riforma a costo zero.

La seconda riforma, sempre a costo zero, sarebbero il rimuovere i vincoli normativi che impediscono la sottoscrizione di quote o azioni di società in fase di start-up attraverso la rete (internet). Oggi la promozione o il collocamento a distanza di prodotti finanziari è riservata alle banche e alle imprese d'investimento. Bisognerebbe rompere questo monopolio per le piccole operazioni di start-up e prevedere che non costituisce prestazione di servizi e attività di investimento la gestione di un sito internet che abbia come fine esclusivo la facilitazione della raccolta di capitali di società a responsabilità limitata o società per azioni in fase di start-up con alcuni limiti qualitativi e quantitavi per evitare abusi.

Facessimo questi due interventi, magari coordinandoli a quelli auspicabili in campo fiscale sul tema start-up, avremmo più imprese che partono. Aiutiamo e premiamo chi rischia e fa impresa. 

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