Presentata oggi la prima indagine transnazionale: Immigrant Citizens Survey

Tre immigrati su quattro sono o desiderano diventare cittadini nel loro Paese di residenza. Ma c'è anche da considerare che gli immigrati che vivono in Italia (e in Portogallo) hanno più difficoltà a trovare lavoro e a imparare la lingua (con Portogallo e Francia) rispetto agli altri Paesi europei; ma sono anche tra quelli più impegnati rispetto alla partecipazione civica e politica. È quanto risulta a livello europeo dall'Immigrant Citizens Survey (Ics), l'indagine transanazionale sui livelli di integrazione in sette stati europei tra cui l'Italia condotta dalla Fondazione Ismu (per l'Italia), dal King Baudouin Foundation e dal Migration Policy Group in collaborazione con ReteG2 - Seconde Generazioni. L'indagine è stata presentata oggi a Bruxelles.
Si tratta della prima indagine transnazionale che ha cercato di valutare in che modo gli immigrati di prima generazione vivono l'integrazione in 15 città europee.

L'indagine è stata realizzata da 19 organizzazioni partner di 7 Paesi europei e co-finanziata dalla Commissione Europe, dalla King Baudouin Foundation, dalla Oak Foundation e dalla Calouste Gulbenkian Foundation.

Lo studio è stato condotto da ottobre 2011 a gennaio 2012, ha raccolto l'opinione di 7.473  cittadini regolari nati fuori dall'Unione Europea, in 7 Paesi (Belgio, Francia, Germania, Ungheria, Italia, Portogallo e Spagna).

I risultati completi dell'Ics sono disponibili online

Per quanto riguarda il campione italiano, in Italia sono stati intervistati 797 immigrati (a Milano 397, a Napoli 400), nati al di fuori dell'Unione Europea. La maggior parte degli immigrati intervistati ha un'età compresa tra i 25 e i 39 anni. Per quanto riguarda lo stato giuridico, mentre un'ampia quota di immigrati a Napoli e Milano ha riferito di essere arrivata senza documenti (come anche a Barcellona e Madrid), nelle maggior parte delle città del Nord la maggioranza degli intervistati è arrivata attraverso il ricongiungimento familiare.

Mentre nel resto dell'Europa più della metà degli immigrati intervistati dichiara di lavorare per imprese private, Napoli risulta in controtendenza: qui più della metà dichiara di essere impiegata come persona di servizio o domestica (a Milano la quota scende a un quarto, a parità con Madrid). I paesi in cui è più problematico trovare lavoro sono il Portogallo e l'Italia (hanno avuto difficoltà dal 70 all'80% degli intervistati). Napoli e Milano sono le città europee in cui gli immigrati si sentono più sovraqualificati rispetto al lavoro che svolgono (agli ultimi posti troviamo Berlino, Liegi e Stoccarda). In Italia sono pochissimi (meno del 10%, rispetto a un terzo o un quarto nel resto d'Europa ) gli immigrati che hanno chiesto di riconoscere ufficialmente le proprie qualifiche.

Inoltre, il 60-70% di immigrati in Italia, Portogallo e Francia hanno avuto difficoltà a imparare la lingua del posto. Il motivo principale è, come nel resto della popolazione, la mancanza di tempo nel 50% degli intervistati in Italia, e la poca motivazione nel 32%. A Milano però più del 30% degli intervistati ha cominciato o completato un corso di lingua o integrazione (a Napoli solo il 20%), contro il 45% di Lione e Parigi.

Per quanto riguarda la partecipazione civica e politica, la maggior parte degli intervistati se potesse voterebbe. In Italia una percentuale compresa tra il 70 e l'80% è disposta a votare. La percentuale più alta di chi pensa che sarebbero necessari più parlamentari con un background di immigrati si trova a Milano (quasi il 90%), seguita da Berlino e Napoli. L'Italia inoltre presenta le più alte percentuali di partecipazione tra gli immigrati alla vita civica, dopo il Belgio: a Milano il 14,6% degli intervistati è iscritto al sindacato (contro il 5,5% della popolazione locale); a Napoli addirittura il 3,2% dice di essere iscritto a un partito politico (in linea con la media nazionale che è del 3,7%). È Napoli la città europea dove gli immigrati hanno una maggiore conoscenza (più dell'80%) e partecipazione (circa il 20%) a organizzazioni di immigrati.       

In Italia la principale ragione per cui si rinuncia al ricongiungimento familiare è la mancanza dei requisiti. Il maggior problema riscontrato è stato l'ottenimento dei documenti. Nel nostro paese oltre la metà ha affermato che vivere assieme alla famiglia li ha aiutati a sentirsi più coinvolti nella comunità locale.

Gli immigrati intervistati, su una scala da 0 a 10, hanno espresso il loro grado di soddisfazione in merito alla loro vita quotidiana. In Italia quelli che vivono a Milano sono soddisfatti della loro vita quanto la popolazione locale (6.5), a Napoli il valore scende a meno di 6. A Milano si ritengono molto più soddisfatti del proprio lavoro (più di 7) della popolazione locale (meno di 7); molto ottimisti sulla propria salute (quasi 8).

Gian Carlo Blangiardo, della Fondazione Ismu, sottolinea come «da questa ricerca emergano importanti contributi per cogliere le problematiche e gli aspetti differenziali dei percorsi di integrazione, tanto nei "tradizionali" quanto nei "nuovi" paesi di immigrazione. I risultati delle indagini Ics forniscono elementi di conoscenza e interessanti spunti di riflessione per politici e amministratori. Dalle analisi esce la conferma delle ben note difficoltà legate alla lingua, ma affiora altresì l'ampia disponibilità degli immigrati a impegnarsi nell'apprendimento, così come il loro interesse ad avere maggiori opportunità sul fronte della formazione professionale». Bangiardo conclude osservando che «questa esperienza di ricerca, svolta ascoltando la voce degli immigrati in una porzione rappresentativa dello spazio europeo, trasmette segnali confortanti circa le condizioni di vita della popolazione e delle famiglie straniere, ma non manca di prospettare la necessità di nuove azioni concrete, sul piano normativo, organizzativo e culturale, per poter sempre più valorizzare e integrare una risorsa che, in termini di capitale umano, appare destinata ad essere assolutamente strategica per lo sviluppo del "vecchio continente"».

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