In un documento reso pubblico a un anno dal primo attacco aereo, intitolato "Libia: le vittime dimenticate degli attacchi aerei della Nato", Amnesty International ha denunciato la mancanza di indagini, da parte della Nato, sulle numerose vittime civili provocate dagli attacchi aerei delle sue forze in Libia.
A gennaio e febbraio, Amnesty International ha visitato una serie di luoghi centrati dagli attacchi aerei della Nato, verificando i danni e i resti delle munizioni, intervistando sopravvissuti e testimoni e ottenendo i certificati di morte delle vittime.
Nel documento, l'organizzazione per i diritti umani denuncia che gli attacchi aerei della Nato hanno provocato numerose morti di civili libici che non stavano prendendo parte ai combattimenti e un numero ancora maggiore di feriti, in gran parte colpiti all'interno delle abitazioni. La Nato non ha condotto le necessarie indagini e non ha neanche tentato di stabilire contatti coi sopravvissuti o coi parenti delle vittime.
Amnesty International chiede alla Nato di svolgere indagini adeguate e fornire piena riparazione alle vittime e alle loro famiglie.
"È con profondo disappunto che constatiamo come, oltre quattro mesi dopo la fine della campagna militare, le vittime e i parenti delle persone uccise dagli attacchi aerei della Nato rimangano all'oscuro di cosa sia accaduto e di chi ne sia stato responsabile" - ha dichiarato Donatella Rovera di Amnesty International.
"I responsabili della Nato hanno ripetutamente sottolineato l'impegno a proteggere i civili. Ora non possono liquidare le vittime con vaghe frasi di rincrescimento, senza indagare adeguatamente su questi episodi mortali" - ha aggiunto Rovera.
La Nato sembra abbia fatto sforzi significativi per ridurre il rischio di causare vittime civili, ad esempio utilizzando munizioni guidate di precisione e in alcuni casi avvisando preventivamente la popolazione delle aree individuate come bersaglio. Tuttavia, ciò non assolve la Nato dall'avviare indagini adeguate sugli attacchi aerei che hanno ucciso e ferito numerosi civili e dal fornire riparazione alle vittime e alle loro famiglie.
Le indagini dovranno chiarire se le vittime civili sono state provocate da violazioni del diritto internazionale; in questo caso, i responsabili dovranno essere portati di fronte alla giustizia.
Amnesty International ha documentato, con nome e cognome, i casi di 55 civili (tra cui 16 bambini e 14 donne) uccisi dagli attacchi aerei della Nato a Tripoli, Zlitan, Majer, Sirte e Brega.
Molte delle vittime sono state uccise a seguito di attacchi aerei contro abitazioni private, nelle quali Amnesty International e altri organismi non hanno rinvenuto alcuna prova che venissero usate per scopi militari al momento dell'attacco.
La sera dell'8 agosto 2011, due abitazioni appartenenti alle famiglie Gafez e al-Ja'arud sono state colpite a Majer, a ovest di Misurata. Secondo le testimonianze della famiglia sopravvissuta, 34 persone tra cui otto bambini e otto donne, sono morti e diverse altre persone sono rimaste ferite in tre distinti attacchi aerei. La famiglia non era a conoscenza di movimenti di persone o attività in corso nei pressi delle abitazioni che potessero spiegare gli attacchi.
Nella sua ultima risposta ad Amnesty International, datata 13 marzo, la Nato ha dichiarato di essere "profondamente dispiaciuta per ogni danno che possa essere stato causato da quegli attacchi aerei", ma di non avere "alcun mandato per svolgere qualsiasi attività in Libia dopo la fine, il 31 ottobre 2011, dell'Operazione protettore unificato" e che "la responsabilità principale" delle indagini è delle autorità libiche.
"La risposta della Nato equivale al rifiuto di assumere la responsabilità delle sue azioni e lascia alle vittime e alle loro famiglie la sensazione di essere state dimenticate e private di ogni possibilità di accedere alla giustizia" - ha commentato Rovera.
Per di più, prima del 31 ottobre 2011, la Nato non ha fatto nulla per indagare sui civili uccisi e feriti dai suoi attacchi aerei nelle aree poi passate sotto il controllo delle nuove autorità libiche del Consiglio nazionale di transizione (Cnt), aree che erano dunque accessibili in condizioni di sicurezza. Tutti i sopravvissuti e i parenti dei civili uccisi dalla Nato che Amnesty International ha incontrato hanno affermato di non essere mai stati contattati dalla Nato o dal Cnt.
La Nato deve assicurare lo svolgimento di indagini rapide, indipendenti, imparziali e approfondite su ogni denuncia relativa a gravi violazioni del diritto internazionale da parte delle forze che hanno partecipato all'Operazione protettore unificato e renderne pubbliche le conclusioni. Nei casi in cui vi siano prove sufficienti, i sospetti dovranno essere processati.
Ulteriori informazioni
Secondo la Nato, durante i sette mesi di campagna militare aerea e marittima in Libia, sono stati lanciati oltre 9700 attacchi e sono stati colpiti oltre 5900 obiettivi militari. Nelle sue operazioni militari, la Nato era tenuta a rispettare le norme del diritto internazionale umanitario applicabili nei conflitti armati internazionali, in particolare quelle relative alle precauzioni da adottare per evitare o almeno ridurre al minimo i danni ai civili, come ad esempio gli obblighi di:
- fare tutto il possibile per verificare se i bersagli sono obiettivi militari;
- scegliere le armi e i metodi di attacco in funzione dello scopo di ridurre al minimo i danni ai civili e agli obiettivi civili;
- determinare la proporzionalità di un attacco programmato, cancellandolo o sospendendolo se appare sproporzionato o diretto verso un obiettivo errato;
- dare effettivo preavviso degli attacchi che possono riguardare la popolazione civile, salvo che le circostanze non lo permettano.