Amnesty International dedica la Giornata internazionale delle donne dell'Otto marzo al coraggio delle donne protagoniste delle rivolte del Medio Oriente e dell'Africa del Nord.
Senza dimenticare che nei paesi dell'Africa del Nord i cambiamenti politici devono ancora tradursi in reali passi avanti per i diritti delle donne, Amnesty International pone al centro dell'azione dell'Otto marzo di quest'anno quattro paesi del Medio Oriente in cui le donne continuano a lottare per chiedere riforme e rispetto dei diritti umani: Arabia Saudita, Iran, Siria e Yemen.
 
"In tutta l'area del Medio Oriente e dell'Africa del Nord, le donne sono una forza ispiratrice del cambiamento e sfidano regimi repressivi per difendere i diritti umani fondamentali e promuovere le riforme e l'uguaglianza" - ha dichiarato Widney Brown, di Amnesty International. "Nella Giornata internazionale delle donne, Amnesty International esprime solidarietà a queste donne coraggiose e sostiene la loro lotta per i diritti umani e la libertà. Vogliamo che sappiano che il mondo intero è con loro in questo momento storico".

In Iran, le donne hanno avuto un ruolo determinante nelle proteste di massa promosse all'epoca delle elezioni del giugno 2009. Continuano a chiedere ampie riforme nel campo dei diritti umani e maggiore libertà per le donne e, per questo, pagano un prezzo elevato.
 
Nasrin Sotoudeh, prigioniera di coscienza e avvocata per i diritti umani (ha tra l'altro difeso la Nobel per la pace Shirin Ebadi), sta scontando una condanna a sei anni, ridotta rispetto agli 11 anni del verdetto di primo grado, per il reato di "propaganda" e per l'appartenenza al Centro per i difensori dei diritti umani, un'organizzazione considerata "illegale" dalle autorità. Le è stato anche imposto il divieto di esercitare la professione legale per 10 anni.  
 
La direzione del famigerato carcere di Evin, nella capitale Teheran, l'ha posta ripetutamente in isolamento impedendo, l'ultima volta meno di un mese fa, ai suoi figli d'incontrarla. Amnesty International continua a chiedere alle autorità iraniane di rilasciare Nasrin Sotoudeh immediatamente e senza condizioni.

In Arabia Saudita, a causa del sistema di "guardiania" maschile, le donne sono discriminate e non possono gestire la loro vita in una serie di ambiti sociali, personali ed economici. 
 
Una delle più insolite e invadenti restrizioni è probabilmente il divieto di guida imposto alle donne saudite, anche qualora siano in possesso di una patente internazionale e possano guidare liberamente in ogni altra parte del mondo.
 
L'anno scorso le attiviste hanno rilanciato la campagna "Women2Drive", che ha sfidato il divieto di guida sollecitando, attraverso i social media, le donne in possesso di una patente internazionale a mettersi al volante.
 
All'azione hanno preso parte decine di donne, molte delle quali poi arrestate e costrette a sottoscrivere un impegno a non riprovarci mai più. In almeno un caso, una donna è stata processata e condannata a 10 frustate per aver sfidato il divieto di guida.
 
Mentre il re Abdullah ha annunciato che le donne potranno votare alle elezioni municipali del 2015, il divieto di guida dev'essere ancora abolito. 
 
Per Amnesty International questa proibizione è esemplificativa dei molteplici ambiti in cui i diritti delle donne saudite sono profondamente limitati. Amnesty International sostiene il loro diritto di "guidare verso la libertà".

Da un anno, il presidente della Siria Bashar al-Assad sovraintende alla brutale repressione del dissenso che ha causato oltre 6000 morti, tra cui oltre 200 donne e ragazze. Migliaia di persone sono state arrestate e molte di esse sono state trattenute per lunghi periodi di tempo in isolamento in carceri segrete nelle quali la tortura e i maltrattamenti risultano diffusi.

Alcune difensore dei diritti umani, che sono state alla guida del movimento pacifico per le riforme, sono state costrette a entrare in clandestinità o a lasciare il paese. 

Di fonte a tutto questo Asma al-Assad, moglie del presidente siriano, ha fatto ben poco per denunciare le brutalità delle forze di sicurezza e si è pubblicamente espressa in favore del marito: un atteggiamento in contrasto con la sensibilità mostrata in passato dalla first lady siriana verso le cause umanitarie e sociali, compresi i diritti delle donne.

In occasione dell'Otto marzo, Amnesty International intende mobilitare l'opinione pubblica mondiale in una campagna d'invio di lettere per sollecitare Asma al-Assad a esercitare la sua influenza per porre fine alle violenze in corso e alle violazioni dei diritti umani commesse contro le attiviste per i diritti umani siriane, che agiscono per proteggere il futuro di tutti i siriani e tutte le siriane.

In Yemen, le donne hanno contribuito a dare vita a una vibrante società civile, riconosciuta a livello mondiale nel 2011, quando la giornalista e attivista per i diritti umani Tawakkol Karman è stata una delle tre donne cui è stato conferito il premio Nobel per la pace.

Le donne yemenite sono state anche in prima fila nelle proteste di massa per chiedere riforme politiche e in materia di diritti umani, che hanno spinto il longevo presidente Ali Abdullah Saleh a firmare, lo scorso novembre, un accordo per il trasferimento dei poteri. 

Tuttavia, pur se il paese attraversa una fase di transizione politica e sociale, le donne dello Yemen continuano a subire una profonda discriminazione: molte sono arrestate e in alcuni casi picchiate per aver preso parte alle proteste o intimidite dai parenti maschi che, a loro volta, sono sotto pressione perché "riprendano il controllo" sulle loro familiari e le facciano desistere dall'attivismo per i diritti umani.

La discriminazione nei confronti delle donne yemenite si riflette nel diritto di famiglia, un tradizionale ambito di esercizio del potere maschile in cui spicca l'assenza di rispetto per l'integrità personale delle donne e di misure per prevenire la violenza domestica e dare giustizia a chi la subisce.

In occasione dell'Otto marzo, Amnesty International chiede alle autorità di transizione dello Yemen di coinvolgere le donne e lavorare insieme a loro per porre fine alle leggi e alle pratiche discriminatorie, compresa la violenza contro le donne.

"Amnesty International continua a stare dalla parte delle donne che in Medio Oriente e in Africa del Nord lottano per i diritti umani e in particolare per il diritto a partecipare agli sviluppi politici su base di uguaglianza, mentre si apre la via del cambiamento in tutta la regione" - ha concluso Widney Brown.

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