In un nuovo rapporto sulla Libia, reso pubblico a un anno dall'inizio della rivolta, Amnesty International ha denunciato che le milizie armate operanti in tutto il paese commettono ampi abusi con impunità, alimentando l'insicurezza e pregiudicando la ricostruzione delle istituzioni statali.
Il rapporto, intitolato "Le milizie minacciano le speranze di una nuova Libia", documenta gravi e massicci abusi, compresi crimini di guerra, detenzioni illegali e torture, da parte di una moltitudine di milizie nei confronti di sospetti lealisti gheddafiani.
Migranti e rifugiati africani sono stati presi di mira, le milizie hanno compiuto attacchi di rappresaglia, costringendo alla fuga intere comunità in assenza di qualsiasi tentativo, da parte delle autorità, di indagare e chiamare i responsabili a rendere conto delle loro azioni.
"Le milizie sono ampiamente fuori controllo e l'impunità totale di cui beneficiano non fa altro che incoraggiare ulteriori abusi e perpetuare l'insicurezza e l'instabilità" - ha dichiarato Donatella Rovera di Amnesty International.
"Un anno fa, i libici rischiavano la vita in nome della giustizia. Oggi, le loro speranze sono minacciate da milizie armate fuorilegge che calpestano i diritti umani impunemente. L'unico modo per spezzare questo intricato ciclo di decenni di abusi ereditato dall'autoritario regime del colonnello Gheddafi è di garantire che nessuno sarà al di sopra della legge e che vi saranno indagini" - ha proseguito Rovera.
Nelle ultime settimane, una delegazione di Amnesty International ha visitato 11 strutture detentive usate da varie milizie nella Libia centrale e occidentale. In 10 di questi centri, i detenuti hanno denunciato di essere stati torturati e hanno mostrato ad Amnesty International le ferite riportate. Parecchi detenuti hanno riferito che, per far cessare le torture, hanno dovuto confessare stupri, omicidi e altri crimini mai commessi.
Dal settembre 2011, almeno 12 persone detenute dalle milizie sono morte a causa della tortura. I loro corpi erano ricoperti di ematomi, ferite e tagli e ad alcune di esse erano state strappate le unghie.
Persone detenute nella capitale Tripoli e nei suoi dintorni, a Gharyan, Misurata, Sirte e Zawiya hanno raccontato ad Amnesty International di essere state sospese in posizioni contorte, picchiate per ore con fruste, cavi, tubi di plastica, catene, sbarre metalliche e bastoni di legno e di essere state sottoposte a scariche elettriche mediante elettrodi e congegni simili alle pistole taser.
In un centro di detenzione di Misurata, un delegato di Amnesty International ha visto i miliziani picchiare e minacciare alcuni detenuti di cui era stato ordinato il rilascio. Un anziano detenuto proveniente da Tawargha cercava di ripararsi, accovacciato contro un muro, e urlava mentre veniva preso a calci e minacciato da un miliziano, il quale ha poi detto al rappresentante di Amnesty International che "quelli di Tawargha non saranno rilasciati, altrimenti li ammazziamo".
In centri d'interrogatorio di Misurata e Tripoli Amnesty International ha incontrato detenuti che i miliziani avevano tentato di nascondere e che erano stati brutalmente torturati: uno di loro riusciva a malapena a muoversi e a parlare.
Non una sola, concreta indagine è stata svolta sui casi di tortura, anche quando i detenuti sono morti dopo essere stati torturati nelle sedi delle milizie o nei centri d'interrogatorio che sono formalmente o informalmente riconosciuti o legati alle autorità centrali.
"Alle milizie che hanno commesso abusi contro i detenuti non dovrebbe semplicemente essere permesso di trattenere persone e i detenuti dovrebbero essere immediatamente trasferiti in strutture controllate dal Consiglio nazionale di transizione" - ha affermato Rovera.
Nessuna indagine è stata portata avanti neanche su altri gravi abusi commessi dalle milizie, tra cui esecuzioni extragiudiziali di detenuti e ulteriori crimini di guerra, come l'uccisione di 65 persone i cui corpi sono stati ritrovati il 23 ottobre in un albergo di Sirte che serviva da base per i combattenti dell'opposizione provenienti da Misurata.
In un video ottenuto da Amnesty International, i miliziani colpiscono e minacciano 29 persone in loro custodia. Un miliziano poi dice: "Prendeteli e uccideteli!". I corpi delle persone cui si riferiva l'ordine sono stati trovati tre giorni dopo all'interno dell'albergo: molti avevano le mani legate dietro la schiena e un foro di proiettile in testa.
Le autorità libiche non hanno finora intrapreso alcuna azione neanche nei confronti di quelle milizie che hanno costretto alla fuga intere comunità, un crimine di diritto internazionale. Le milizie di Misurata hanno espulso l'intera popolazione di Tawargha, circa 30.000 persone, saccheggiando e distruggendo le loro abitazioni come rappresaglia per crimini che alcuni tawargha avrebbero commesso durante il conflitto. Migliaia di appartenenti alla tribù mashashya sono stati espulsi da Zintan, nei monti Nafusa. Queste e altre comunità sfollate si trovano tuttora in campi di fortuna in Libia. Le autorità non hanno preso alcun provvedimento per chiamare le milizie a rispondere di questi crimini né per consentire il ritorno a casa degli sfollati.
"L'impunità totale concessa alle milizie lancia il messaggio che abusi del genere sono tollerati e contribuisce a trasformarli in pratiche accettate. Le persone responsabili degli abusi devono essere sottoposte a processo e rimosse dai loro ruoli, altrimenti ripeteranno le loro azioni" - ha proseguito Rovera.
"È fondamentale che le autorità libiche dimostrino con fermezza l'impegno a girare pagina rispetto a decenni di sistematiche violazioni dei diritti umani riprendendo il controllo delle milizie, indagando sugli abusi del presente e del passato e processando i responsabili, a qualsiasi parte appartengano, secondo gli standard del diritto internazionale" - ha concluso Rovera.
Ulteriori informazioni
Il rapporto di Amnesty International si bassa sulle conclusioni di una missione effettuata in Libia nel gennaio e nel febbraio 2012, durante la quale i delegati dell'organizzazione hanno compiuto ricerche a Tripoli e nei suoi dintorni, a Zawiya, nelle zone montuose dell'ovest de paese, a Misurata, Sirte e Bengasi.
I delegati di Amnesty International hanno incontrato gestori di strutture detentive, personale ospedaliero, medici, avvocati, detenuti, ex detenuti, parenti di persone uccise o sottoposte ad abusi durante la detenzione, così come rappresentanti delle autorità libiche.