Gli ingredienti ci sono tutti. Uno Stato debolissimo (il Sud Sudan), due etnie che si contrappongono (i Lou Nuer e i Murle), una missione Onu con pochi uomini che intervengono tardivamente (la UNMISS), un contesto regionale con paesi in guerra, vedi Sudan, e con eserciti nei confini altrui (basti pensare alla Somalia o al Darfur), una comunità internazionale distratta: il genocidio del Ruanda può essere replicato. Le prove tecniche sono già state fatte.

A ridosso di Natale, o i primi giorni dell'anno (anche questo non è chiaro), infatti una colonna di miliziani Lou Nuer (si parla di 6000 uomini) è partita alla volta della città di Pibor, abitata dall'etnia Murle, stringendola d'assedio. Si è parlato di almeno 3000 morti. Mentre dopo due giorni le forze Onu, che pur avevano individuato la colonna armata molto tempo prima, respingevano l'assalto e salvavano Pibor, le persone che in precedenza erano fuggite nascondendosi nella foresta e cercando ovunque riparo furono preda delle milizie dell'etnia avversa. Non si hanno notizie dirette, ma ciascuno può immaginare che cosa sia accaduto a questa gente.

In una teleconferenza con il Palazzo di vetro delle Nazioni Unite, il 3 gennaio, Lise Grande, coordinatrice umanitaria della Missione dell'Onu in Sud Sudan, ha lanciato l'allarme. "Non c'è dubbio che ci sono state vittime. Potrebbero essere nel numero delle decine, forse delle centinaia, ma non sappiamo.... Ora l'obiettivo delle Nazioni Unite è quello di provvedere all'assistenza dell'emergenza alla popolazione di Jonglei, mentre la situazione a Pibor è più stabile". Jonglei è un'altra cittadina teatro di scontri tra le due comunità, con assalti e uccisioni di donne e bambini, che ora ospita molti rifugiati. La situazione umanitaria complessiva è grave. Gli abitanti Murle ritornati a Pibor dopo la fine dell'assedio "non avevano cibo, non avevano accesso all'acqua potabile e molti erano i feriti".

Le Nazioni Unite, con la Missione UNMISS, cercano in queste ore di arginare ulteriori incombenti catastrofi. Ma qualcosa non quadra. Perché anche dalle Nazioni Unite arrivano notizie contrastanti. Riporta il sito di Lettera43: "Sui massacri di civili recentemente denunciati l'Onu nutre però dei dubbi. «Non ci sono prove di massacri in Sud Sudan dopo l'esplosione di violenze etniche nel paese, ma 60 mila persone hanno urgente bisogno di assistenza», ha dichiarato Hilde Johnson, rappresentante speciale dell'Onu nel Paese. L'inviata ha detto all'Afp che le informazioni che parlavano di oltre 3 mila persone uccise la scorsa settimana dopo un attacco nella regione di Pibor, nello stato di Jonglei, da giovani armati si sono rivelate infondate».

In una escalation di violenza una milizia armata della tribù Nuer nella settimana tra il 3 e il 7 gennaio ha attaccato Pibor, rifugio dei Murle perché accusati di rapimenti e furto di bestiame. Joshua Konyi, commissario della contea di Pibor e anch'esso di etnia Murle, aveva annunciato che 3141 persone erano state uccise in questo attacco. Il bilancio non era stato confermato né dall'Onu, né dall'esercito del Sud Sudan. Ancora non si conosce il bilancio di quell'attacco, ma Hilde Johnson dopo una visita nella regione ha detto che i caschi blu hanno difeso i civili che abitano nei due principali centri abitati della contea, Pibor e Lekongele. L'inviata dell'Onu ha però detto che circa un terzo delle abitazioni sono state incendiate e che 60 mila persone hanno urgente bisogno di aiuti".

Medici senza frontiere racconta un'altra storia, dando l'idea della drammaticità della situazione "Decine di migliaia di persone a Lekongole e Pibor sono fuggite per salvarsi la scorsa settimana e ora si nascondono fra la vegetazione, terrorizzate", dice Arthesarathy Rajendran, Capo Missione di MSF in Sud Sudan. "Sono scappate di corsa e non hanno né cibo né acqua, alcune di loro hanno ferite e lesioni e ora si trovano da sole, nascoste e senza la possibilità di assistenza umanitaria".

Il villaggio di Lekongole è stato raso al suolo e un'équipe di MSF che ha verificato la situazione a Pibor il 28 dicembre l'ha descritta come una "città fantasma", praticamente tutti sono fuggiti nei dintorni. La gente è nascosta e perciò non è possibile raggiungerla per pulire e medicare le ferite, curare chi è malato e fornire assistenza sanitaria di base. Se le persone resteranno ancora del tempo nascoste, la situazione per chi è ferito o malato si aggraverà.

Durante le violenze, due strutture mediche di MSF sono state saccheggiate e danneggiate: la clinica del villaggio di Lekongole il 27 dicembre e il piccolo ospedale nella città di Pibor il 31 dicembre. Una terza clinica di MSF nel vicino villaggio di Gumruk non ci risulta essere stata colpita. Queste tre strutture mediche di MSF rappresentano l'unica possibilità di assistenza sanitaria disponibile per i 160mila abitanti della contea di Pibor, l'unica struttura medica alternativa si trova infatti a più di 100 chilometri".

Sulla stessa falsariga le notizie fornite dall'ONG Intersos che sul posto ha alcuni operatori: "Gli scontri sono stati generati da diversi attacchi compiuti dai Lou-Neur, un gruppo etnico che vive nel nord del Jonglei, in risposta agli attacchi subiti lo scorso Agosto da parte dei Murle, altro gruppo etnico originario della zona di Pibor, nei quali circa 700 persone della comunità Lou-Nuer furono uccisi, 200 bambini rapiti, e ben 25.000 mucche rubate.

Il giorno prima di Natale circa 6.000 Lou-Nuer si sono diretti verso la città di Lekuangole (circa 30 km a nord di Pibor) distruggendo e bruciando i villaggi più piccoli che hanno trovato durante il loro tragitto. Circa 20.000 Murle di Lekuangole, che erano stati informati dall'imminente arrivo dei Lou-Nuer, hanno abbandonato la città prima del loro per dirigersi verso Pibor e Pochalla. L'intera città di Lukangole è stata rasa al suolo e decine di persone sono state uccise da entrambe le parti durante gli scontri. Durante il giorno di Natale, NDF (Nashingol Development Foundation), partner locale di Intersos per tutti i progetti di protection implementati nella zona, in collaborazione con le autorità locali e alter ONG locali, ha cominciato la registrazione degli sfollati giunti a Pibor da Lekuangole, quasi tutti donne e bambini (962 persone registrate).

Le uniche persone rimaste quindi in città erano I militari dell'SPLA, supportati dai militari della missione delle Nazioni Unite che erano stati portati in zona nel giorni precedenti con il mandato di assistere i militari locali nel difendere i civili.

I soccorsi alle popolazioni colpite sono però in questo momento difficili in quanti non ci sono informazioni precise di dove hanno attualmente trovato rifugio le persone in fuga. Intersos e le agenzie della Nazioni Unite e le altre ONG presenti stanno lavorando ora per rintracciare la posizione delle migliaia di sfollati da Pibor di cui si è perso momentaneamente traccia".

Insomma, un quadro devastante che ci chiama tutti a una riflessione, per non doverci poi pentire di essere stati a guardare un genocidio. [PGC]

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