Il potere dei segni contro il potere dei segni mafiosi : nel Cafè de Paris di Roma, un simbolo storico, proprio dove una volta si beveva il caffe' della ndrina entrano i prodotti di Libera Terra, frutto del lavoro dei giovani delle cooperative che gestiscono i terreni confiscati ai mafiosi. Con l'anno nuovo chi andrà a prendere il caffè troverà il segno del riscatto, delle positività, in contrasto con le negatività. Nel bar storico, confiscato alla 'ndrangheta, arriveranno l'olio calabrese coltivato sui terreni confiscati alla ndrangheta nella Piana di Gioia Tauro, il vino Centopassi di Corleone, i paccheri di Don Peppe Diana del casertano pomodorini, pate' di carciofi, tarallini e friselline provenienti dai terreni tolti alla Sacra Corona Unita. Prodotti buoni, puliti e giusti che rappresentano il segno del riscatto perche' la confisca significa restituire alla collettivita' i beni confiscati.L'iniziativa è stata presentata stamattina presso i locali del Cafe' de Paris di Via Veneto dal presidente di Libera, don Luigi Ciotti, dal prefetto Giacomo Barbato dell'Agenzia nazionale per l'amministrazione e la destinazione dei beni confiscati, dal prefettodi Roma Giuseppe Pecoraro , dagli amministratori giudiziari del Cafe de Paris, Antonino Dattola e Maurizio Occhiuto. Il Café de Paris di via Veneto a Roma, il caffè della Dolce Vita, che tra i suoi tavolini ha ospitato Federico Fellini, Frank Sinatra e Domenico Modugno, torno' alla ribalta con un'inchiesta che portò il 22 luglio del 2009 al sequestro del locale da parte dei carabinieri del Ros e dalla Guardia di Finanza perché risultato nella disponibilità della cosca Alvaro della 'ndrangheta, e successivamente sequestrato e confiscato in primo grado, oggi in amministrazione giudiziaria.
La storia del Cafe' de Paris iniziò quando Vincenzo Alvaro, figlio di Nicola che aveva ereditato il bastone del comando a Cosoleto (Reggio Calabria), si era stabilito a Roma per scontare il divieto di soggiorno in Calabria facendosi assumere come aiuto cuoco da un cugino al "Bar California" di via Bissolati, a una manciata di metri da via Veneto. Dopo aver chiuso i conti con la giustizia, Alvaro nel 2001 era venuto a vivere a Roma con l'intera famiglia, con la quale risiedeva in zona Eur, ma anche con amici e collaboratori al seguito. In sette anni Vincenzo Alvaro ha chiuso accordi che gli garantivano il controllo di sei bar e tre ristoranti. È al Bar California che fa la sua comparsa Damiano Villari, un barbiere di Sant'Eufemia di Aspromonte che con un reddito da 15 mila euro all'anno di fatto di "professione" prestanome per conto della cosca di Alvaro che nel 2002, anche lui dopo aver pagato i conti con la giustizia in Calabria, si era trasferito nella capitale con amici e parenti. Un barbiere calabrese titolare di molti dei locali di lusso sottoposti a sequestro nonché proprietario del Café de Paris, che aveva acquistato in una svendita nel 2005, pagandolo solamente 250 mila euro. Ben lontano dall'effettivo valore commerciale del locale , che secondo gli investigatori, è stimabile in 55 milioni di euro. Anche un altro noto locale della capitale che è stato sequestrato nell'ambito della stessa operazione, il ristorante Georgés è di proprietà ufficialmente della «Georgès Immobiliare e di gestione Srl», con sede a Roma in via Marche 7, ed ha un valore commerciale, sempre secondo gli investigatori, di 50 milioni di euro.
"Questo locale- ha detto Don Luigi Ciotti, presidente di Libera- che ha arricchito in modo illecito le cosche è tornato a produrre ricchezza per tutti, con lavoro pulito, profitti leciti e pietanze buone. Con i prodotti di Libera il gusto ed il giusto si saldano e graffiano le coscienze di chi li assaggia.Oggi si e' realizzato un momento di democrazia ed è necessario dare visibilità a questo cambiamento che vuol dire restituire pulizia e splendore ad un luogoche è stato sporcato , infangato da traffici loschi. Un brindisi alla speranza- ha concluso Don Luigi Ciotti- perche' la speranza si nutre di cose concrete, di un impegno quotdiano che da' buoni frutti e tocca a tutti noi alimentarla."
Dal Cafè de Paris nella via della dolce vita romana ai locali della movida milanese nelle mani dei boss della Ndrangheta, dall'antico Cafe' Chigi nei dintorni di Camera e Senato in salsa calabrese alla catena di pizzeria Regina Margherita a Napoli con succursali a Genova, Torino e Roma made in camorra al recente sequestro del Beach Café, famoso locale sulla spiaggia di Riccione sotto l'egidia dei Casalesi: la ristorazione è tra le attività preferite della malavita per riciclare il denaro. Sulla base delle recenti inchieste e dei sequestri di beni, si è stimato in almeno 5.000 il numero dei locali nelle mani della criminalità, fra ristoranti, pizzerie, bar, intestati perlopiù a prestanome e usati come gigantesche lavanderie intestati perlopiù a prestanome e usati come copertura per riciclare i soldi sporchi.
E' l' ennesima prova della forza di penetrazione delle mafie: le inchieste ci raccontano di una mafia che bussa direttamente alle nostre porte, entra nelle nostre case, nella nostra quotidianità. Quella "mafia" che "si aggiunge un posto a tavola", non invitata, per "mangiare" alle nostre spalle, speculando su ciò che abbiamo di più necessario, ciò di cui nessuno può fare a meno: il cibo. Scopriamo che le mafie "ce la danno a bere" - e a mangiare - grazie a infiltrazioni profonde e consolidate in vari comparti del settore agroalimentare. E a gestire "le mafie nel piatto" il gotha della criminalità dai Piromalli ai Lo Russo, dai Casalesi agli Alvaro, dai Bidognetti ai Lo Piccolo. Un nuovo fronte del business delle mafie preoccupante, i boss della ristorazioni usano i prestanome per società che comprano e vendono rapidamente. Ristrutturano con frequenza , giocano sui giri di fatture gonfiate , chiudono e ricominciano da un' altra parte con un turn over frenetico che necessita di una vigilanza e di un monitoraggio preventivo sui contratti di acquisto e sulle licenze e che deve richiamare alla responsabilità tutti gli attori preposti ai controlli preventivi per debellare una delle nuove frontiere di investimento mafioso.
Da Roma a Milano, passando per la Toscana, l'Emilia, la Liguria, Sicilia, Campania non c'è indagine recente sulla presenza dei clan dalla quale non salti fuori il nome di un ritrovo, di un bar della movida, di un ristorante inaugurato in pompa magna, poi chiuso, riaperto e ristrutturato senza badare a spese per ripulire il denaro sporco dei clan in un vortice di cambi societari, di scatole cinesi che stanno mettendo a rischio uno dei comparti più celebrati dell'economia del Belpaese. Ogni anno aprono 2.000 nuovi ristoranti e le società sono in numero doppio rispetto a quelle che chiudono i battenti. E un ristorante è il terminale di una filiera alimentare: dai prodotti della terra alle carni, dalle mozzarelle al caffè. Tutto made in mafia.