A Durban dopo lunghi e difficili negoziati si é riuscito ad evitare il fallimento e rinnovare il Protocollo di Kyoto come regime di transizione verso un nuovo accordo globale che dovrà coinvolgere anche le maggiori economie del pianeta superando l'attuale contrapposizione tra paesi industrializzati e in via di sviluppo.
La "Piattaforma di Durban" prevede infatti la sottoscrizione di un nuovo accordo globale entro il 2015 e la sua applicazione a partire dal 2020. Esito questo non scontato visto l'ostruzionismo degli Stati Uniti, sostenuti da Canada Australia e Nuova Zelanda con Russia e Giappone a dar loro manforte. Ma grazie al ruolo determinante dell'Europa - finalmente con il sostegno convinto anche del nostro governo - é stato possibile dare vita ad una Coalizione di Volenterosi tra paesi industrializzati emergenti e in via di sviluppo in grado di spingere India e Cina ad abbandonare il gioco dei veti contrapposti e costringere gli Stati Uniti ad approvare un mandato a sottoscrivere un accordo globale che abbia il Protocollo di Kyoto come architrave.
Molto debole l'accordo raggiunto sul Green Climate Fund. Si é solo riusciti a definire la struttura e le modalità di gestione del fondo destinato a finanziare le azioni di riduzione delle emissioni e di adattamento ai mutamenti climatici nei paesi poveri. Nessuna certezza invece é stata garantita ai finanziamenti promessi a Copenaghen e confermati a Cancun attraverso una roadmap che aumenti annualmente i 10 miliardi di dollari già stanziati per il 2012 sino a garantire i 100 miliardi di dollari promessi per il 2020.
Purtroppo nel pacchetto di decisioni adottate a Durban i governi non sono stati in grado di raggiungere anche un accordo su come colmare il cosiddetto "gigatonne gap" ossia il divario - stimato dall'UNEP tra 6 e 11 gigatonne di CO2 - tra gli attuali impegni di riduzione delle emissioni e quelli necessari per contenere il surriscaldamento globale al di sotto dei 2 gradi centigradi.
"L'Europa - ha dichiarato il presidente di Legambiente Vittorio Cogliati Dezza - da subito si deve fare promotrice, con il sostegno dell'Italia, di un piano per colmare questo gap e aggiornare al 30% il proprio impegno di riduzione delle emissioni di gas-serra al 2020. Per l'Europa si tratta di un impegno che non richiede grandi sforzi aggiuntivi e in linea con le politiche climatiche ed energetiche adottate a livello comunitario. L'Unione europea, infatti, è già a un passo dal raggiungimento dell'obiettivo del 20% al 2020 visto che nel 2010 le emissioni dei ventisette paesi Ue sono già diminuite del 15,5% rispetto al 1990".
Sono quindi sufficienti solo misure aggiuntive per consentire, colmando l'attuale ritardo, il raggiungimento dell'obiettivo del 20% per l'efficienza energetica. Secondo recenti stime della Commissione, in questo modo sarà possibile raggiungere una riduzione interna - ossia senza il ricorso agli strumenti flessibili previsti dalla legislazione comunitaria - del 25% delle emissioni di gas-serra, facilitando così il raggiungimento dell'obiettivo del 30% al 2020.