Amnesty International ha diffuso oggi un rapporto, dal titolo "La primavera che non sbocciò. La soppressione della libertà in Azerbaigian", in cui denuncia la repressione del dissenso ordita dalle autorità nel marzo di quest'anno. Attraverso un'ondata di intimidazioni, arresti e provvedimenti restrittivi nei confronti dei mezzi d'informazione indipendenti, le Organizzazioni non governative e i partiti di opposizione, le autorità azere hanno cercato di stroncare le proteste contro la corruzione, per le riforme e per i diritti umani.
Da marzo, giovani attivisti ed esponenti dell'opposizione sono stati imprigionati sulla base di accuse pretestuose; giornalisti e difensori dei diritti umani hanno ricevuto minacce e intimidazioni.
Amnesty International sollecita l'immediato rilascio di 17 prigionieri di coscienza, condannati in relazione alle proteste.
"Il giro di vite ha mandato un messaggio chiaro e calcolato: esprimere pubblicamente il dissenso e cercare di mobilitare l'opinione pubblica contro il governo non è tollerato" - ha affermato Natalia Nozadze, ricercatrice di Amnesty International sull'Azerbaigian. "L'Unione europea e gli altri partner internazionali dell'Azerbaigian devono usare ogni opportunità per sollecitare il rilascio dei prigionieri di coscienza e la fine della soppressione delle proteste pacifiche, delle opinioni critiche e dell'opposizione politica".
A marzo e aprile, centinaia di persone sono scese in piazza nella capitale Baku per chiedere riforme democratiche e maggiore rispetto per i diritti umani. Ispirati dalle proteste di massa del Medio Oriente e dell'Africa del Nord, gli attivisti dell'opposizione hanno usato i social media per organizzarsi e diffondere informazioni.
Le autorità azere hanno reagito impedendo le proteste, prendendo di mira e arrestando blogger e attivisti.
All'indomani delle manifestazioni, 14 tra attivisti ed esponenti dei partiti di opposizione sono stati giudicati colpevoli di "organizzazione e partecipazione a disordini pubblici" e condannati a pene fino a tre anni di carcere. Amnesty International ritiene non vi siano prove che i condannati abbiano fatto qualcosa di più e di diverso dall'aver esercitato in modo legittimo il loro diritto alla libertà di espressione e di associazione nel tentativo di organizzare proteste pacifiche nel centro di Baku.
Quel giro di vite ha inasprito ancora di più l'approccio repressivo delle autorità.
I mezzi d'informazione che si esprimono criticamente nei confronti del governo subiscono denunce civili e penali per diffamazione, mentre dal 2009 le emittenti straniere non possono più trasmettere il loro segnale.
Ganimat Zahib, direttore del quotidiano Azadlig, vicino all'opposizione, ha detto ad Amnesty International: "Il governo sta stringendo il cappio nei confronti di ogni forma di comunicazione, limitando l'accesso alle informazioni e alla stampa cartacea e la distribuzione degli organi di stampa indipendenti, lasciando in questo modo l'opinione pubblica al buio. Ci affidiamo sempre di più ai social media per riempire il vuoto di un dibattito informato".
Il governo sta attualmente esaminando proposte di legge che potrebbero restringere l'accesso degli utenti di Internet alle informazioni online e introdurre il reato di "disinformazione".
"L'effetto cumulativo di queste pratiche, insieme alla consolidata impunità delle autorità, ha instillato un clima di paura e di autocensura nella società azera che si è fermata, se non addirittura ha fatto un passo indietro, nel cammino verso una democrazia stabile" - ha commentato Nozadze.
"In un paese ricco di petrolio, 20 anni di indipendenza, prosperità economica e relativa stabilità non si sono tradotti in maggiori libertà fondamentali per i cittadini. Nel frattempo, il consolidamento di un potere autoritario dell'ultimo decennio è stato ignorato ampiamente dal mondo esterno" - ha aggiunto Nozadze.
"Le autorità azere devono invertire questa tendenza e i loro partner internazionali devono rendere chiaro che non faranno accordi con chi compie violazioni dei diritti umani" - ha concludo Nozadze.
Alcuni casi
A febbraio, Jabbar Savalan, studente di Storia e attivista dell'opposizione, è stato arrestato per aver condiviso su Facebook articoli critici nei confronti del governo e per aver usato i social media per promuovere proteste sul modello di quelle in corso in Medio Oriente e Africa del Nord. Durante la custodia di polizia, è stato picchiato e costretto a confessare il presunto possesso di marijuana, imputazione che gli è costata oltre due anni di carcere. Amnesty International lo considera prigioniero di coscienza.
Bakhtiyar Hajiyev, attivista dell'opposizione e cofondatore di un gruppo Facebook, sorto per promuovere una protesta virtuale l'11 marzo contro la corruzione e l'oppressione governativa, è stato arrestato per tre volte a partire dal novembre 2010 per aver evaso gli obblighi di leva e per non aver rispettato l'obbligo di firma presso la polizia. Durante la custodia di polizia, è stato preso a pugni, strangolato e minacciato di stupro, denunce su cui non è in corso alcuna indagine. Il 18 maggio di quest'anno, è stato condannato a due anni di carcere per evasione degli obblighi di leva. Amnesty International lo considera prigioniero di coscienza.