Lunedì 10 ottobre, in occasione della nona Giornata mondiale contro la pena di morte, le attiviste e gli attivisti di Amnesty International di ogni parte del mondo si mobiliteranno per chiedere la fine delle esecuzioni in Bielorussia, l'unico paese europeo e dell'ex Unione sovietica che ancora applica la pena capitale.
"La Bielorussia è il solo paese in Europa che continua a pretendere di uccidere in nome della giustizia" - ha dichiarato Roseann Rife, esperta di Amnesty International sulla pena di morte.
Si ritiene che almeno 400 prigionieri siano stati messi a morte in Bielorussia dal 1991, ma il numero effettivo delle esecuzioni resta sconosciuto a causa della segretezza che circonda l'uso della pena di morte nel paese.
I prigionieri vengono informati solo pochi minuti prima dell'esecuzione, che avviene mediante colpo di proiettile alla nuca.
"La crudeltà della pena capitale in Bielorussia va ben oltre la fase dell'esecuzione. Le famiglie vengono informate solo settimane o persino mesi dopo, i corpi dei prigionieri messi a morte non vengono consegnati e neanche viene reso noto dove siano stati sepolti" - ha sottolineato Rife.
Il 23 settembre 2011 la famiglia del condannato a morte Andrei Burdyka ha ricevuto una telefonata dal tribunale regionale di Grodno con cui è stata avvisata che poteva recarsi al registro dell'anagrafe civile per ritirare il certificato di morte del congiunto. Burdyka e un altro uomo erano stati condannati a morte il 14 maggio 2010 per triplice omicidio. Si ritiene che entrambi siano stati messi a morte intorno alla metà di luglio di quest'anno. La famiglia dell'altro uomo è ancora in attesa di comunicazioni ufficiali.
La madre di Burdyka, Nina Semyonovna, reclama di sapere dove suo figlio è stato sepolto e sta facendo il giro dei cimiteri della capitale Minsk e dei dintorni per trovare la tomba.
Il 19 marzo 2010, la madre di Andrei Zhuk ha provato a consegnare un pacco di cibo al figlio, condannato a morte. La direzione del carcere ha rimandato il pacco affermando che il detenuto era stato "trasferito" e l'ha avvisata di non cercare più suo figlio, in attesa di comunicazioni ufficiali dal tribunale. La mattina del 22 marzo, il personale del carcere l'ha informata che suo figlio era stato messo a morte insieme a un altro prigioniero.
La donna ha raccontato ad Amnesty International l'angoscia che prova nel non sapere dove si trovi il corpo del figlio e di come suo nipote spesso si fermi a fissare in silenzio la fotografia del padre.
Nel 2010, Amnesty International ha registrato migliaia di esecuzioni in 23 paesi. Alla fine dello scorso anno, i condannati a morte in attesa d'esecuzione erano almeno 17.800.
La pena di morte è la più estrema delle punizioni crudeli, disumane e degradanti. La disumanità della sua applicazione emerge da ogni parte del mondo. I prigionieri raccontano delle devastanti condizioni di vita nei bracci della morte, della loro angoscia nell'attesa di un'esecuzione che spesso avverrà solo grazie alla "confessione", sotto tortura, di un crimine che sostengono di non aver commesso.
"Quando Amnesty International venne fondata nel 1961, i paesi che avevano abolito la pena di morte per tutti i reati erano solo nove e il tema era scarsamente considerato dal punto di vista dei diritti umani. Cinquant'anni dopo, la tendenza mondiale verso l'abolizione non può essere fermata e l'azione di Amnesty International verso questo obiettivo continua" - ha concluso Rife.