Sono 800mila i lavoratori delle cooperative che aspettano risposte dal governo: la manovra colpisce al cuore l'unico settore che crea occupazione continuativa da cinque anni. Lontane dalla piazza sono 80mila imprese sociali italiane aspettano segnali seri da parte del governo. C'è un'Italia che è contraria alla manovra, ai licenziamenti facili, ai tagli indiscriminati a enti locali e welfare ma non si può fermare. Non può far sentire i suoi "no".
E' l'Italia delle cooperative che proprio la finanziaria colpisce duramente, con una riduzione delle agevolazioni che aumenta la tassazione degli utili del 10%, colpisce 83mila imprese "sociali" ma risparmia ampi settori dell'economia di mercato e della rendita: 800mila lavoratori delle coop oggi non sono in piazza neppure a difendere se stessi. Perché tra i loro compiti c'è quello di tenere in piedi un claudicante stato sociale, soprattutto in Calabria. "Al 90% noi svolgiamo servizi pubblici essenziali. E non è immaginabile e praticabile interrompere il lavoro con forme di astensione perché significherebbe fermare servizi di necessità sociale che svolgiamo per conto e spesso in sostituzione dello Stato". Anche ove la natura del provvedimento non fosse ideologica è certo che la manovra va a colpire l'istituto cooperativo come strumento economico in sé "uno degli strumenti più preziosi che l'Italia possiede!".
La cooperazione è tale non solo per il numero di addetti che coinvolge ma anche perché consente il protagonismo imprenditoriale di soggetti che hanno talenti professionali da spendere, intraprendenza ma non hanno alle spalle i grandi capitali del mondo profit. Non a caso quando ci sono delle crisi economiche come da 10 anni a questa parte chi esce dal mercato del lavoro si riorganizza in forma cooperativa e prova a rimettersi in gioco con questa formula che distribuisce il rischio di impresa e abbatte il capitale iniziale. Il governo non sa neppure quanto andrebbe a incassare tassando maggiormente le coop ma di sicuro l'importo è dell'ordine di 40 forse 60 milioni in una manovra che muove 45 miliardi. Così si toglie il pane a chi lavora ma si rastrellano briciole per fare cassa e con effetti decisamente contenuti. Se il provvedimento ha davvero una natura ideologica rischia di essere un buco nell'acqua sotto il profilo della resa per i conti pubblici ma soprattutto una mina per i beneficiari reali del mondo cooperativo. "Che non sono certo i soci, come spesso si legge su certi giornali che fanno disinformazione, perché l'istituto stesso del lavoro cooperativo prevede che i soci rinuncino ad accumulare ricchezza privata prodotta dalle loro attività per destinare quelle risorse allo sviluppo di impresa e a vantaggio della comunità e del territorio. Forse è questo il punto: un'economia in cui il profitto si sposa con l'interesse generale non si piega agli interessi particolari di nessuno, non si manipola e per questo forse non piace". "E' chiaro che la forma cooperativa ha una sua forma economica che non è di tipo capitalistico anzi è alternativa a quella delle società di capitali e la manovra ne mette in discussione l'utilità. E' un'economia a due velocità il cui motore viene frenato dalla manovra che colpisce l'istituto al cuore che va a indebolire la parte patrimoniale che i soci non usano come ricchezza privata come avviene nelle aziende ma accantonato in un "fondo di riserva" indivisibile che viene destinato per statuto alla stessa attività d'impresa, nella creazione di ulteriore occupazione e nello sviluppo di beni e servizi per la collettività". E la radiografia del mondo cooperativo conferma nella pratica il modello teorico delle cooperative: delle 83.000 imprese cooperative il 72% sono microimprese e che il 75% di esse è sotto la soglia minima di capitali prevista per le Srl, cioè è sotto i 10.000 euro di capitale. Il primo è l'effetto diretto sulla massa delle imprese e dei lavoratori che indebolisce ancora l'economia. "Questo è l'unico settore in cui negli ultimi anni si è registrato un andamento positivo dell'occupazione. Il mondo cooperativo vale il 7,6% del Pil nazionale e da anni sta in trincea. Ora lo si vuole mortificare. Le agevolazioni non sono dei privilegi, ma sono legate a un diverso tipo di regime societario. Ma il taglio avrebbe anche effetti negativi sui conti pubblici per un'altra ragione: "Da anni siamo in una condizione in cui lo Stato non riesce a soddisfare i bisogni della collettività come erogatore di servizi di natura sociale. Le società cooperative suppliscono a questa prima mancanza e ancora a una seconda. Perché se ne parla poco ma chi lavora con le pubbliche amministrazioni viene pagato con ritardi crescenti che facilmente vanno dai sei mesi all'anno e mezzo, come succede in Calabria. Nel frattempo le cooperative anticipano in proprio le spese ed eseguono le mansioni affidate accollandosi rischi e costi per pagamenti sempre incerti e differiti". Non solo. Le società cooperative nascono per vivere a lungo, anche oltre 100 anni, molto più dei venti che sono la media delle aziende a conduzione familiare. La loro continuità economica è slegata alla contingenza della leadership fondativa. E l'Italia ha bisogno di continuità economica. E' un contributo incalcolabile alla tenuta dello stato sociale, finché questo termine avrà una sua collocazione nel nostro diritto e nelle fondamenta costitutive dello Stato. Già, perché c'è anche quel problemino con l'articolo 45 della Costituzione!