Le autorità e i partiti politici dell'Egitto devono porre in cima alla loro agenda i diritti dei 12 milioni di abitanti che vivono in modo del tutto precario negli insediamenti informali del paese, se intendono davvero soddisfare le richieste di giustizia sociale e dignità umana che si sono levate nel corso della "rivoluzione del 25 gennaio".
È quanto ha chiesto ieri Amnesty International diffondendo, in vista delle prime elezioni dalla caduta dell'ex presidente Mubarak, un rapporto di 123 pagine dal titolo "Non siamo spazzatura! Sgomberi forzati negli insediamenti informali dell'Egitto". Il rapporto descrive gli sgomberi forzati di centinaia di famiglie dalle cosiddette "aree insicure", nelle quali la loro vita e la loro salute sono considerate a rischio dalle autorità.
"I residenti degli insediamenti informali devono poter prendere la parola nella ricerca di soluzioni alle loro disperate condizioni abitative. Le autorità, invece, non stanno rispettando i loro diritti umani" - ha affermato Kate Allen, di Amnesty International. "Quando osano dire qualcosa, gli abitanti rischiano sgomberi forzati illegali e, grazie a leggi repressive, anche arresti arbitrari".
Una grave carenza di appartamenti a prezzi abbordabili ha costretto milioni di persone indigenti a vivere in insediamenti precari e informali. Circa il 40 per cento degli egiziani vive sulla linea o sotto la linea della povertà fissata a due dollari al giorno; la grande maggioranza dei manifestanti uccisi o feriti durante la "rivoluzione del 25 gennaio" proveniva da quel contesto.
Il rapporto presentato oggi da Amnesty International, frutto di due anni di ricerca, denuncia che le autorità egiziane non hanno consultato le comunità residenti nelle "aree insicure" circa i piani per affrontare le loro condizioni abitative inadeguate. Secondo fonti ufficiali, circa 850.000 persone vivono in aree considerate "insicure" e circa 18.300 unità abitative in tutto il paese sono a rischio d'imminente crollo.
Dopo la frana mortale che nel 2008 al Cairo si abbatté sull'insediamento di Manshiyet Nasser, le autorità egiziane hanno identificato in tutto il paese 404 "aree insicure". Migliaia di famiglie di Manshiyet Nasser a rischio di nuove frane sono state trasferite in altri alloggi, ma la maggior parte di esse è lontana dalle fonti di reddito e priva della documentazione necessaria per le loro nuove abitazioni.
Le autorità hanno costantemente mancato di dare un adeguato preavviso agli abitanti prima che le forze di sicurezza (e, negli ultimi mesi, anche la polizia militare) arrivassero ad allontanarli con la forza dalle loro case, in violazione delle norme nazionali e internazionali.
Le ricerche di Amnesty International hanno rilevato che molti residenti degli insediamenti informali sono rimasti senza tetto, dopo che le autorità avevano demolito le loro case, contro la loro volontà, senza fornire un alloggio alternativo. Il rapporto denuncia la discriminazione operata contro le donne, specialmente se separate, divorziate o vedove, nell'assegnazione dei nuovi alloggi.
"I progetti del governo per le 'aree insicure' sono fondamentalmente progetti di demolizione, che non esplorano possibili alternative agli sgomberi. Non c'è una sola persona, delle centinaia che abbiamo intervistato, che abbia detto di essere stata adeguatamente informata prima dello sgombero o consultata in merito a un alloggio alternativo. Con le elezioni in vista, le autorità egiziane hanno l'occasione per correggere questi errori" - ha commentato Allen.
La storia di Abdel Nasser al-Sherif è emblematica. Insieme alla sua famiglia, questo avvocato viveva in un edificio di quattro piani costruito dal padre, nel 1949, nell'insediamento di Establ Antar, nella Vecchia Cairo.
Nel 2009, le autorità segnalarono che un costone di roccia che sovrastava l'insediamento era "insicuro" e poneva a rischio la vita degli abitanti. Senza alcun preavviso o notifica di sgombero, è stato deciso di demolire la casa degli al-Sherif. Al suo rifiuto di cooperare, agenti antisommossa hanno fatto irruzione nell'edificio e lo hanno portato via.
Tutti i beni degli al-Sherif sono stati messi su un camion e scaricati in un'area di reinsediamento. L'avvocato non è mai stato risarcito per la distruzione della casa dove la sua famiglia aveva abitato per 60 anni.
Amnesty International ha anche riscontrato prove riguardanti comunità abbandonate a sé stesse in aree minacciate dalle frane, nonostante avessero chiesto di essere trasferite; altre comunità sottoposte a un rischio minore, come nella zona di Al-Sahaby ad Assuan, hanno visto invece demolire le loro case.
Questo approccio incoerente ha diffuso il sospetto tra gli abitanti degli insediamenti informali che alcuni di questi vengano sgomberati non per proteggerne i residenti, quanto per poter disporre della terra per progetti commerciali.
Amnesty International ha sollecitato le autorità a riconsiderare i massicci progetti di sviluppo sul tavolo, tra cui il piano regolatore denominato "Cairo 2050".
Il piano, annunciato alla fine del 2008, intende "ridistribuire" circa i due terzi dei 30 milioni di abitanti della Grande Cairo, previsti per il 2050, in nuove città alle estremità della megalopoli. L'obiettivo non dichiarato di "Cairo 2050" pare essere quello di ripulire la capitale dalle "baracche" per fare spazio a progetti d'investimento.
Sulla base del piano, 35.700 famiglie residenti in 33 "baraccopoli" del Cairo e di Giza, comprese quelle di Ezbet Abu Qarn nella Vecchia Cairo, saranno sgomberate e trasferite in nuovi insediamenti lontani dalle loro abitazioni attuali, sradicandole in questo modo dai luoghi di lavoro.
Nel suo rapporto, Amnesty International sottopone alle autorità egiziane una serie di raccomandazioni, tra cui quella di rivedere "Cairo 2050".
"Il primo passo da parte del governo egiziano dovrebbe essere tornare indietro rispetto a 'Cairo 2050', in modo tale che la voce delle comunità più colpite possa essere ascoltata e che questa consultazione possa condurre a un nuovo piano, che affronti realmente la crisi degli alloggi e ponga al primo posto i bisogni degli abitanti degli insediamenti informali" - ha spiegato Allen.
"Gli sgomberi forzati devono cessare. Dove realmente le persone vivono in condizioni di rischio e lo sgombero è l'unica opzione possibile, devono essere previste una notifica con preavviso adeguato, la consultazione sul reinsediamento e un rapido e congruo risarcimento. In caso di pericolo immediato per la vita delle persone, queste devono essere subito trasferite in rifugi provvisori, dove potrà svolgersi la loro consultazione" - ha concluso Allen.