Taakow, 40 anni, è seduta sotto la scarsa ombra di un arbusto insieme al suo bambino di 2 anni per un attimo di tregua dal sole cocente.
È stata una mattinata tumultuosa, durante la quale suo figlio e centinaia di altri bambini hanno ricevuto una ciotola d'acqua, due gocce sulla lingua e una macchia di inchiostro color porpora sul pollice: così infatti funzionano le vaccinazioni contro il morbillo e la polio che dalla settimana scorsa hanno luogo qui a Dollo Ado, dove sono stati allestiti diversi campi per rifugiati. Siamo nella zona dell'Etiopia a ridosso del confine con la Somalia.
Taakow si è recata all'ambulatorio del campo profughi di Malkadida per vaccinare suo figlio dopo che gli operatori sanitari del campo avevano spiegato alle madri l'urgenza di proteggere i bambini dalle malattie infettive che potrebbero esplodere a causa del sovraffollamento e della malnutrizione.
Traversare il deserto, la prova più dura
Come migliaia di altre famiglie giunte a Dollo Ado nel corso dell'anno, anche Taakow ha deciso di abbandonare la Somalia dopo che la siccità ha sterminato il suo bestiame e azzerato qualsiasi speranza di nutrire i suoi cinque figli.
Nella più nera disperazione, si sono messi tutti in cammino attraversando per tre giorni un territorio arido, teatro di carestia e di combattimenti, per raggiungere il polveroso complesso di Dollo Ado, dove sperava di trovare acqua e cibo.
A prima vista, Taakow non ha trovato a Malkadida uno scenario molto diverso da quello che si era lasciata alle spalle. Ma è qui che c'è una speranza per i suoi bambini, grazie all'impegno del Governo etiopico, delle agenzie ONU e delle Organizzazioni non governative presenti.
Il suo bambino di due anni, che versava in un grave stato di denutrizione, ora si sta riprendendo. Le vaccinazioni appena ricevute, condotte con il sostegno dell'UNICEF, lo proteggeranno dalle infezioni che possono proliferare in condizioni di igiene precaria e alta densità di popolazione.
Dollo Ado ospita attualmente 119.000 rifugiati somali, dei quali 78.000 arrivati da gennaio in poi. L'80% di loro sono bambini.
Qui l'UNICEF, con il coordinamento dell'Agenzia governativa etiopica per i rifugiati (ARRA) e dell'Alto Commissariato ONU per i Rifugiati (UNHCR), contribuisce a realizzare campagne di vaccinazione di massa, come quella in corso oggi qui e nel vicino campo di Kobe.
Un lavoro meticoloso
In queste settimane Girma Birru, specialista dell'UNICEF Etiopia, ha avuto il suo daffare per riparare e mantenere stabile la "catena del freddo", il meccanismo che assicura la validità dei vaccini.
Stesso discorso per Mutrib Bakhruddinov, medico dell'UNICEF che si è unito ai team locali all'alba di oggi per aiutare ad effettuare le vaccinazioni.
«Stare qui è importante, ti fa capire quanto puoi essere utile agli altri» ci dice Mutrib, spiegando che il prossimo passo del suo lavoro sarà andare di tenda in tenda per controllare che tutti i bambini abbiano il pollice macchiato di inchiostro viola, segno dell'avvenuta immunizzazione.
Insieme alle citate ARRA e UNHCR ma anche ad altre grandi organizzazioni - come Save the Children, Medici Senza Frontiere e Oxfam - l'UNICEF fornisce aiuti sul fronte nutrizionale (con alimenti terapeutici), idrico, igienico e sanitario.
L'UNICEF sta anche installando spazi protetti per consentire ai bambini e ai ragazzi di riprendere, a settembre, le lezioni scolastiche quanto meno in strutture temporanee come le tende-scuola.
Nonostante un impegno senza sosta per fornire i servizi necessari ai rifugiati, serve molto altro, e con urgenza. La vita a Dollo Ado è dura sotto tutti i profili, e molti dei bambini che arrivano qui dopo una marcia estenuante attraverso il deserto sono in condizioni estremamente vulnerabili. Il tempo fa la differenza tra la vita e la morte.
(storia inviata da Malene Kamp Jensen, Communication Officer dell'UNICEF - nostra traduzione)