Non c'è pace per Pompei. Come se non bastassero Domus crollate, scavi fermi, intonaci scrostati, allarmi dell'Unesco, ignobili lastroni di cemento sul teatro grande (sequestrato dalla magistratura) e sprechi faraonici, il sito archeologico che il mondo ci invidia subisce ora un taglio di fondi. La beffa è ancor più atroce pensando che il salasso nasce da un intervento istituzionale promosso per aumentarli.
«Merito» del decreto legge varato dal governo quattro mesi fa, denominato «Disposizioni urgenti in favore della cultura?» e presentato con plateale autocompiacimento come provvedimento salva-Pompei. Bel salvataggio: sul bilancio di quest'anno quasi 5 milioni di euro in meno, il 25 per cento circa. Un'eterogenesi dei fini tipicamente e maledettamente italiana, perché colpisce anche i beni archeologici di Roma e serve a mettere una pezza sugli scandalosi buchi contabili di un'altra soprintendenza napoletana.
Accade questo. Primavera 2011: il governo si mobilita dopo i crolli dei mesi precedenti. E inserisce una norma rubricata «Potenziamento delle funzioni di tutela dell'area archeologica di Pompei». Il diavolo si nasconde nell'ultimo comma, che prevede per il ministero dei Beni culturali la possibilità di spostare fondi da una Soprintendenza a un'altra, in caso di necessità.
Pare un toccasana: ora potranno finalmente arrivare i sospirati nuovi finanziamenti. Al contrario, nei giorni scorsi il ministero ha comunicato al CdA della Soprintendenza che sì, intende avvalersi di quella norma, ma per decurtare il bilancio di Pompei, non per rimpinguarlo. E dunque, dice il ministero, rifate i conti e arrangiatevi. La Soprintendenza ha già avviato le riunioni operative per distribuire i sacrifici, facendo i conti con le rimostranze di chi lavora sul campo.
Le conseguenze del taglio di budget sono presto spiegate: stop anche a progetti già deliberati, blocco di attività di tutela in corso, possibili danni al patrimonio. Un autogol che rischia di allontanare non solo gli imprenditori francesi che hanno offerto 20 milioni di euro per Pompei a patto di avere un piano chiaro e definito, ma anche i partner privati che già ci sono. Per esempio la Fondazione Packard, che su Ercolano ha adottato un modello lodato dall'Unesco (ma ignorato in Italia). Gli americani mettono un euro per ogni euro speso dal ministero e non gradiranno che la controparte se ne riprenda qualcuno a metà dell'anno.
Ma il ministero ha altre urgenze. I soldi tolti a Pompei servono a ripianare i debiti di un'altra Soprintendenza napoletana, il Polo museale che gestisce tra l'altro il museo di Capodimonte con risultati tutt'altro che memorabili (non figura tra i 30 musei statali più visitati, superato da realtà minori come Trieste, Ravenna, Sirmione).
Un carrozzone creato nel 2003 tra le perplessità degli addetti ai lavori e che garantisce prestigiose poltrone, stipendi maggiorati (un soprintendente speciale guadagna il 30 per cento più di uno ordinario) e un ricco budget da gestire direttamente. Il Polo museale sta affondando in un buco spaventoso: 12 milioni di euro di debiti accumulati in pochi anni. Tanto da indurre il ministero a svenare non solo Pompei, ma anche l'altra Soprintendenza archeologica speciale, quella di Roma che cura un patrimonio immenso, dal Colosseo all'Appia antica. Altri 5 milioni di euro sottratti da un giorno all'altro. Nella capitale si fermano dunque i lavori per il quarto lato di Palazzo Massimo. Un progetto a cui si lavora da anni e destinato a ospitare una caffetteria a concessione privata, abortito proprio in vista del traguardo per mano dello stesso ministero che ha puntato tutto su valorizzazione e gestioni esterne.
Non solo: la scure si abbatterà per 1,7 milioni anche sul fondo destinato agli interventi «di somma urgenza», accantonato per crolli, danneggiamenti, maltempo. La riduzione è di circa il 50 per cento. Dunque per quest'anno a soprintendente, archeologi e direttori dei musei non resteranno che amuleti e scongiuri.
Che le soprintendenze ricche (Pompei e Roma sono considerate le galline dalle uova d'oro) aiutino quelle povere, è naturale e s'è sempre fatto. Ma per esigenze tecniche e di tutela, con capitoli di bilancio preventivati e spalmando i benefici su diversi enti. Non in queste dimensioni. Non intervenendo con l'accetta in corso d'opera. E non per ripianare i debiti di un solo ente sprecone, alimentando «in modo affrettato e opaco» quella che Italia Nostra definisce «una guerra tra poveri».
Le beffe per Pompei non finiscono qui. Il decreto di marzo prevedeva anche un piano straordinario di salvaguardia, il dirottamento di 105 milioni di euro presi dal «bancomat» dei fondi Fas per le aree sottosviluppate, le nuove e agognate assunzioni di personale.
Tutte misure positive. Peccato che dopo quattro mesi siano ancora sulla carta. Il piano straordinario è molto contestato e va nella direzione diversa rispetto a quanto richiesto dai tecnici dell'Unesco. I fondi Fas non sono arrivati, la procedura per sbloccarli è lunga. E le assunzioni restano un miraggio. La richiesta al ministero è chiara: servono subito 25 nuovi tecnici, di cui 14 archeologi.
A Pompei oggi lavora un solo archeologo, mentre l'ultimo mosaicista andato in pensione nel 2001 non è mai stato sostituito. Gli operai per la manutenzione quotidiana sono scesi da 98 a 8. Spiegano gli esperti che senza personale adeguato i piani di tutela sono chimere: chi li attua? Ma prima delle assunzioni, sono arrivati i tagli.
di GIUSEPPE SALVAGGIULO da: La Stampa, 30 luglio 2011