In un nuovo rapporto sulla Siria, diffuso oggi, Amnesty International ha dichiarato che i metodi brutali usati nelle devastanti operazioni di sicurezza a Tell Kalakh possono costituire crimini contro l'umanità.
 
Il rapporto, intitolato "Repressione in Siria: il terrore a Tell Kalakh", denuncia decessi in carcere, torture e detenzioni arbitrarie nel contesto dell'offensiva condotta a maggio dall'esercito e dalla polizia siriana contro gli abitanti della città, situata vicino al confine libanese.
 
"Quanto abbiamo appreso da chi ha assistito ai fatti di Tell Kalakh compone un quadro di violazioni sistematiche e mirate con l'obiettivo di sopprimere il dissenso" - ha dichiarato Philip Luther, vicedirettore di Amnesty International per il Medio Oriente e l'Africa del Nord. "La maggior parte dei crimini descritti nel nostro rapporto ricadrebbero nella competenza della Corte penale internazionale, ma è necessario che prima il Consiglio di sicurezza deferisca la situazione della Siria al procuratore della Corte".
 
Il rapporto si basa su interviste a oltre 50 persone, fatte in Libano e al telefono, nei mesi di maggio e giugno. Amnesty International non ha avuto il permesso di entrare in Siria.
 
Il 14 maggio, dopo una manifestazione indetta per chiedere la fine del regime, l'esercito e la polizia sono entrati a Tell Kalakh. Il primo giorno c'è stata almeno una vittima, il 24enne Ali al-Basha, ucciso a quanto pare da un cecchino; la stessa ambulanza che aveva recuperato il suo cadavere è stata colpita. Le forze di sicurezza hanno anche aperto il fuoco contro gruppi familiari che cercavano di lasciare la città.
 
Il giorno dopo le autorità hanno rastrellato e arrestato decine di uomini, compresi minorenni e persone di oltre 60 anni. Ogni nucleo familiare incontrato da Amnesty International in Libano ha dichiarato di aver avuto almeno un parente arrestato.

 

La maggior parte degli uomini è stata torturata. Per contarne il numero, i soldati marchiavano il collo degli arrestati con sigarette accese. 
 
La Sicurezza militare ha usato il metodo dello shabah (fantasma), in cui il detenuto è costretto a rimanere in posizione dolorosa per lunghi periodi di tempo (nel caso specifico, coi polsi legati a una barra di metallo sospesa a un'altezza tale da costringerlo a stare sulle punte dei piedi) e picchiato.
 
"Mahmoud", 20 anni, arrestato il 16 maggio e rilasciato quasi un mese dopo, ha trascorso cinque giorni nel centro di detenzione della Sicurezza militare di Homs: "Ogni giorno era la stessa storia. Mi legavano nella posizione dello shabah e applicavano la corrente elettrica sul corpo e ai testicoli. Urlavo e supplicavo chi m'interrogava di fermarsi. Ma non gli interessava".
 
Almeno nove persone arrestate durante le operazioni di sicurezza sono morte in carcere. Otto di esse, alcune delle quali avevano preso parte alle manifestazioni, erano già ferite quando venivano trascinate fuori da un'abitazione. 
 
Due settimane dopo, ai familiari è stato chiesto di recarsi a un ospedale militare per identificare i corpi degli otto uomini. I segni delle torture erano evidenti: tagli sul petto, coltellate sulle cosce e ferite da arma da fuoco dietro le gambe.

Un medico forense ha analizzato per Amnesty International la foto di una delle vittime, Abd al-Rahman Abu Libdeh, concludendo che l'uomo aveva subito violente ferite al volto, alle spalle e al collo quando era ancora vivo.
 
Alcuni dei familiari arrivati a identificare i cadaveri hanno dichiarato di essere stati costretti a firmare una dichiarazione secondo cui i loro figli erano stati uccisi da bande armate.
 
Amnesty International è a conoscenza di un certo numero di persone, arrestate durante le operazioni di sicurezza a Tell Kalakh, che si trovano ancora in carcere, tra cui un ragazzo di 17 anni.
 
L'organizzazione per i diritti umani chiede alle autorità siriane di rilasciare tutte le persone, bambini inclusi, arrestate arbitrariamente e quelle imprigionate per aver preso parte a manifestazioni pacifiche o aver espresso il loro dissenso.
 
Amnesty International ritiene che i crimini commessi a Tell Kalakh possano ammontare a crimini contro l'umanità in quanto sembrano far parte di un attacco massiccio e sistematico contro la popolazione civile.
 
Pertanto, l'organizzazione per i diritti umani reitera la richiesta al Consiglio di sicurezza di deferire la situazione della Siria al procuratore della Corte penale internazionale e sollecita le autorità di Damasco a consentire accesso illimitato ai funzionari delle Nazioni Unite che stanno attualmente indagando sulla situazione dei diritti umani nel paese.
 
"La prontezza della comunità internazionale ad agire sulla Libia in nome del diritti umani ha messo in evidenza i suoi doppi standard nei confronti della Siria. Nonostante il presidente Bashar al-Assad parli di riforme, è difficile immaginare che le autorità siriane possano reagire in assenza di misure concrete a livello internazionale".

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