Roma/Bruxelles, 3 maggio 2011 - Lo scorso fine settimana un totale di 12 imbarcazioni con 2.665 rifugiati, richiedenti asilo e migranti è approdato in Italia, mentre altre 715 persone sono state salvate da una barca in avaria nel canale di Sicilia. I tre quarti di questi mezzi trasportavano persone in fuga dal conflitto in Libia. La risposta che le autorità italiane hanno messo in campo per accoglierle è stata del tutto inadeguata e ciò ha ulteriormente aggravato la loro sofferenza. L'organizzazione medico-umanitaria internazionale Medici Senza Frontiere (MSF) ribadisce alle autorità italiane di migliorare le condizioni di accoglienza per i nuovi arrivati, in particolare per i più vulnerabili: le donne e i bambini, i minori non accompagnati e le persone che sono state vittime di violenza. 

"Sebbene sia risaputo che il numero di imbarcazioni che arrivano aumentino con il sopraggiungere dell'estate e che adesso la guerra in Libia costringa molte migliaia di migranti alla fuga, le autorità italiane continuano a fornire una risposta limitata e inadeguata", dichiara Rolando Magnano, Capomissione di MSF per i progetti sull'immigrazione in Italia. "Lo scorso fine settimana le autorità non avevano nemmeno coperte né quantità di acqua a sufficienza per le persone arrivate in ipotermia o sotto schock. Centinaia di persone sono state costrette a dormire all'aperto, mentre altre nei centri sovraffollati, dove utilizzavano materassi sporchi, non c'erano abbastanza asciugamani, coperte o sapone. Tutto ciò è inaccettabile".  

Questi nuovi arrivi dello scorso fine settimana si sono aggiunti alle 27.000 persone che hanno già raggiunto l'Italia via mare quest'anno. Molti migranti sono stati spinti ad avventurarsi in un pericoloso viaggio in mare a seguito delle ribellioni e della violenza esplose nel dicembre 2010 in Nord Africa. La maggior parte delle persone arrivate nei primi mesi del 2011 erano tunisine, ma il numero di coloro che fuggono dalla Libia sta aumentando sempre di più, come dimostra lo sbarco del 19 aprile, il più grande per il numero di migranti stipati nella stessa imbarcazione mai avvenuto sull'isola di Lampedusa. La maggior parte delle persone che giungono dalla Libia sono originarie di Somalia, Eritrea, Sudan e Nigeria: molte sono già fuggite dalla violenza nei loro rispettivi paesi, prima ancora di scappare dalle disumane condizioni di detenzione o dall'estrema violenza presente in Libia. 

"Coloro che arrivano dalla Libia raccontano delle violenze e delle minacce che hanno subito, ad alcuni è stato sparato, altri sono stati picchiati o hanno visto con i propri occhi i loro amici morire", aggiunge Rolando Magnano. "Altre persone ci raccontano delle tremende condizioni di detenzione presenti là,  come nel caso di 65 persone trattenute in una piccola stanza di 40 metri quadrati per un mese  con pochissima acqua a disposizione. Altre ancora, hanno visto affogare i loro parenti mentre affrontavano il pericoloso viaggio in mare per raggiungere l'Italia. Tuttavia, una volta che arrivano qui la sofferenza semplicemente continua. Aumentano  ansia e depressione e alcune donne raccontano di aver troppa paura per dormire, per cambiarsi i vestiti o persino andare in bagno, perché non vengono separate dagli uomini in modo adeguato". 

Nei giorni scorsi 1200 migranti erano stipati nel CSPA (Centro di Soccorso e Prima Accoglienza) di Lampedusa, che può accoglierne solo 800. Di solito, dopo aver trascorso qualche giorno a Lampedusa, i migranti e i rifugiati sono poi trasferiti nelle nuove strutture di accoglienza italiane, come a Cinisi, Manduria, Caltanissetta e Mineo. Secondo quanto prevedono gli standard europei, l'Italia ha il dovere di fornire ai richiedenti asilo che hanno subito violenza un trattamento prioritario e adatto ai loro bisogni, inclusa l'assistenza medica e il supporto in salute mentale.

 

Attualmente queste misure sono del tutto inadeguate. Inoltre, la separazione fra donne e uomini è insufficiente e i migranti ricevono scarse informazioni sui loro diritti e sulle procedure legali. A ciò si aggiunge il fatto che i bambini e i minori non accompagnati sono trattenuti in centri chiusi simili a "carceri", il che non giova affatto alle condizioni di un minore. Una prima valutazione in merito alla salute mentale compiuta da MSF nei centri di accoglienza nel mese di aprile, evidenzia nei migranti il rischio di una consistente ansia, depressione e disperazione, uno stato a cui contribuiscono in parte anche le condizioni inaccettabili e di totale incertezza che stanno affrontando. "Mentre in Europa continuano le discussioni politiche  sul futuro dei migranti dei rifugiati, proseguiranno gli sbarchi e le persone continueranno a soffrire inutilmente. A questo punto l'Italia deve assolutamente fare un passo avanti ed assumersi la responsabilità di garantire condizioni di accoglienza adeguate e umane a tutte quelle persone che arrivano esauste sulle nostre  coste", dichiara Loris De Filippi, Direttore delle Operazioni di MSF.

MSF ha cominciato a fornire assistenza medica e supporto mentale in Italia a migranti, rifugiati e richiedenti asilo nel 1999, in risposta alla crisi del Kosovo. Dal 2002 al 2009 MSF ha lavorato a Lampedusa e in Sicilia, entrambi punti di approdo per i migranti. Da febbraio 2011 MSF è intervenuta per garantire il triage medico dei pazienti nel porto di Lampedusa e per seguire il loro stato di salute nei centri di accoglienza dell'isola. Da febbraio MSF ha effettuato oltre 1300 visite mediche e ha distribuito 4.500 kits igienico-sanitari e lenzuola e ha prestato assistenza a 17.000 migranti sbarcati (più di 500 donne e più di 300 bambini). Soltanto nello scorso fine settimana MSF ha distribuito 1000 coperte e 900 bottiglie d'acqua (450 litri in totale).  

MSF pubblica oggi il documento dal titolo " In cerca di salvezza. La sofferenza nascosta. Le testimonianze dei migranti sbarcati in Italia ": http://www.medicisenzafrontiere.it/immagini/file/dossier/Rapporto_Migranti_final.pdf 

Il documento è composto dalle testimonianze dei migranti e dei rifugiati arrivati in Italia che raccontano la situazione di totale insicurezza in Nord Africa dove hanno cercato ogni mezzo per sopravvivere.

 

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