Sono state le grida che hanno fatto sobbalzare Mohamed. Urla e grida sono diventate spaventosamente familiari per i cittadini di Misurata, nella regione occidentale della Libia, ma questo era un grido particolare. Era il grido di suo figlio.
Mohamed è corso sul terrazzo in cima alla casa, dove il piccolo Mufteh, 9 anni, stava giocando. Suo figlio teneva le mani sulla faccia, ma il danno era ben visibile lo stesso.
«Era coperto di sangue. La prima cosa che ho fatto è stata di tirarlo via dal terrazzo, l'ho soltanto preso in braccio e portato via di lì», racconta.
Le ore precedenti l'esplosione erano state tranquille, ma la granata che Mohamed presume sia stata sparata da un mortaio era esplosa molto vicino, e aveva investito di frammenti il corpo di suo figlio. La faccia sembrava la parte più colpita.
La famiglia vive non lontanto dal principale ospedale di Misurata ancora in funzione, ma adesso il bombardamento era diventato intenso. «Non avevo scelta, dovevo aiutarlo» racconta Mohamed. «L'ho trasportato all'ospedale, sotto le bombe che esplodevano da ogni parte.»
Mufteh è stato evacuato via mare, da Misurata a Bengasi, città in mano agli insorti: un viaggio durato ben 20 ore. Aveva emorragie interne, una mandibola fratturata, e ferite da schegge sul viso e sul collo.
«Mio figlio stava soltanto giocando. Come può accadere tutto questo a un ragazzino che se ne sta tranquillo a giocare?» si dispera Mohamed.
Purtroppo questo è il genere di cose che accade spesso in queste settimane, a Misurata e in altre zone della Libia. Negli ultimi giorni a Misurata, i medici hanno riferito di almeno 40 civili uccisi, tra cui un dottore ucraino e due fotografi stranieri, oltre a centinaia di feriti.
Nel frattempo, l'intensificarsi delle ostilità nelle ultime 72 ore nella regione occidentale della Libia ha costretto altre migliaia di famiglie ad abbandonare le proprie case. Pesanti combattimenti sono in corso intorno alle città di Zintan, Nalut e Qalaa, con ripercussioni traumatiche sui bambini coinvolti.
Dall'inizio del conflitto, a febbraio, mezzo milione di cittadini libici sono sfollati. Alcuni sono riusciti a fuggire con tutto ciò che potevano caricare su un'automobile, altri con soltanto ciò che sono riusciti ad afferrare nelle mani, in corsa.
L'UNICEF in azione
L'UNICEF sta distribuendo materiali per reparti chirurgici, kit ostetrici, igienici e di pronto soccorso, acqua potabile, sostanze per disinfettare le scorte idriche, e giocattoli per i più piccoli. Altre scorte di beni sono state posizionate ai posti di frontiera con Egitto e Tunisia, a beneficio di coloro che riescono a oltrepassare il confine libico.
Sebbene la maggioranza dei profughi dalla Libia sia costituita da lavoratori stranieri in fuga, sempre più sono i cittadini libici che oltrepassano il confine in cerca di sicurezza.
A Bengasi, Mufteh si prepara per la prima di una serie di operazioni chirurgiche. Gli sono stati donati diversi regali, ma le ferite non gli consentono di sorridere. Presto sarà anche lui uno dei tanti bambini ai quali l'UNICEF garantisce assistenza psicologica, qui nell'est della Libia.
«È così coraggioso, ma soffre tanto» ci dice papà Mohamed. «Temo che potrà avere dei problemi anche dopo, ma oggi è vivo. Dobbiamo considerarci fortunati.»
Davvero riesce difficile parlare di fortuna, guardandolo