"Thank you". Bastano due parole e un sorriso per dimenticare la fatica, la stanchezza, le ore di sonno mancanti all'appello, la fame. Nella notte tra lunedì 28 e martedì 29 marzo, oltre agli sbarchi dei tunisini, sono arrivati anche un gruppo proveniente dalle coste libiche, a bordo delle motovedette di Capitaneria di Porto e Guardia di Finanza che li hanno soccorsi in mare. Eritrei, somali, nigeriani, ghanesi e anche un egiziano. Molte donne, minori, alcuni neonati e anche una ragazza incinta al settimo mese: storie che si intrecciano, migranti che fuggono dalla guerra. E proprio uno di loro, mentre lo aiutiamo a scendere dalla motovedetta, ci guarda, il viso si illumina e ci ringrazia. "L'Italia era il mio sogno", ci dice. Non è la prima volta per le imbarcazioni provenienti da Tripoli: due giorni prima, altri barconi erano stati dirottati a Linosa, assistiti proprio da un medico e un'infermiera volontaria della Croce Rossa Italiana che in piena notte si sono imbarcate per andare da Lampedusa alla piccola isola vicina.
Mentre si aspettano le navi che dovrebbero accelerare nelle prossime ore il deflusso dall'isola, che ormai ha dato accoglienza a oltre 6mila migranti, la situazione alla stazione marittima rimane molto dura. Più di 2500 tunisini dormono sotto ripari di fortuna, ci sono pochissimi bagni e poca acqua. Il presidio sanitario e umanitario della Croce Rossa Italiana, ora dopo ora, diventa sempre più importante, come punto di riferimento per i migranti sbarcati sull'isola. Ci chiedono tutto, dalle coperte al cibo, dall'acqua al sapone, e nel rispondere che siamo qui per l'assistenza sanitaria, sopraggiunge una sensazione di impotenza molto difficile da digerire e che ci si porta dietro anche nelle poche ore di sonno quotidiane. Il gruppo di medici, infermieri, logisti, mediatori culturali, lavora senza sosta, in tre turni quotidiani: squadre pronte a intervenire durante gli sbarchi e team medici che assistono nella tenda in media tra le 400 e le 600 persone al giorno. Dall'assistenza di primo soccorso, si è passati a un vero e proprio ambulatorio dove trovano ricovero i migranti che gravitano intorno alla stazione marittima: l'assistenza è a 360 gradi e in caso, in accordo e collaborazione con i medici del poliambulatorio di Lampedusa, i pazienti sono portati dall'ambulanza nella struttura ospedaliera locale.
Al di là della conta dei numeri, quello che colpisce è la sensazione da "non luogo", quasi un'isola che non c'è, dove di notte nella collina dietro al porto vengono accesi fuochi per riscaldarsi e compaiono tende di fortuna: l'odore acre del fumo ti entra nelle narici e ti fa capire fino in fondo che una porzione di territorio è diventata un vero e proprio centro di accoglienza a cielo aperto. E che ci sono migliaia di persone che hanno bisogno di un'accoglienza dignitosa.
Ogni giorno i migranti ci chiedono dove andranno e tra quanto partiranno. Con alcuni di loro c'è ormai spirito di collaborazione, non è strano vederli pulire il piazzale del porto o aiutarci nel tenere ordinata la fila davanti alla tenda. O ancora, segnalarci casi o portarci minori che vanno trasferiti in un'altra struttura "protetta". Qualche sera fa, il generatore della tenda si era fermato, lasciando tutti al buio. Non ripartiva proprio più. Dopo un po' si è presentato un trentenne tunisino che ci ha detto: "Buonasera, sono un ingegnere, vi posso dare una mano?". Pochi minuti dopo è ritornata la luce nella tenda, la fila si è formata nuovamente e le visite sono ricominciate. "Grazie di cuore", "Di niente, sono felice di avervi aiutato". Un altro momento di felicità e condivisione. Ma non c'è tempo. "Ragazzi, andiamo - dice l'instancabile Gianfranco - c'è uno sbarco". Zaino d'emergenza, guanti, telo. Si va, tornando in un piazzale molto più simile a un girone infernale che a un porto commerciale italiano.
Tommaso Della Longa - Portavoce
CRI