Mentre leggete queste righe, quasi 10 milioni di persone nel mondo vedono l'orizzonte tagliato da sbarre metalliche. Il numero è approssimativo e si riferisce, ovviamente, solo ai dati ufficiali, raccolti dal Centre for prison studies del King's College di Londra. È probabile che un certo numero di individui si trovi in centri di detenzione clandestini, anticamere della morte dove non vale neanche la pena di registrare un nome all'ingresso. Ma, per quanto si sa, oltre metà di questi 10 milioni al momento è rinchiusa negli Usa, quindi in Cina, in Russia ecc., fino al più sperduto atollo del Pacifico. Ovunque, il sentire comune attribuisce all'istituzione un'amara necessità: triste a dirsi, ma il carcere sembra antico come il male stesso. Cambia la forma: una prigione negli Usa non è come una in Kenya, globalizzazione o meno. L'istituzione carceraria agisce come uno specchio deformante, in cui si riflettono, esasperate, le disfunzioni e i drammi di una società. Il Sud diventa sempre più Sud e il Nord un po' meno Nord. Ma che significato ha, oggi, il carcere? Per alcuni è un centro di rieducazione, per altri un luogo in cui rinchiudere le "mele marce", per altri ancora un vero business. Dall'Europa all'Africa all'America Latina, abbiamo dato un'occhiata a quel che succede dietro le sbarre. Italia: I partiti fanno "melina" È stato lo spettacolo mediatico del Natale 2005: bipartisan e animato da buoni sentimenti, coronato da scioperi della fame e marce solidali e, a feste concluse, messo via come l'abete. L'iniziativa Amnistia Natale 2005, promossa da Marco Pannella per indurre il parlamento ad approvare un provvedimento di amnistia-indulto, è stata affondata dal disinteresse dei politici, più che da un'aperta ostilità. «Molto rumore per nulla», la definisce Patrizio Gonnella, presidente di Antigone, associazione che si batte per i diritti dei detenuti. «Entrambi gli schieramenti preferiscono rifugiarsi nell'attendismo su un tema così scottante». Il 27 dicembre, alle votazioni di Montecitorio per dare un primo via libera alla legge su amnistia e indulto, si sono presentati una novantina di parlamentari (per una proposta firmata da 204 onorevoli). Assenti sia il ministro della Giustizia Roberto Castelli, sia parecchi parlamentari firmatari del disegno di legge, rinviato alla Commissione giustizia per essere di nuovo valutato. Si è trattato, per Gonnella, di un tipico esempio di "melina". «L'eccesso di cautela è dovuto alla necessità di accumulare consensi. È stata la fotocopia di quanto già accaduto tra il 2000, in occasione dell'anno giubilare, e il 2003, quando il Papa fu molto applaudito alla Camera per il suo intervento in cui chiedeva al legislatore un atto di clemenza». Ipercarcerazione Clemenza dettata da esigenze concrete più che da principi astratti: ammonta infatti a 60.000 unità la popolazione carceraria italiana (un record nella storia della Repubblica) per 43.000 posti disponibili (il rapporto capienza/numero di detenuti colloca l'Italia al terzultimo posto in Europa prima di Grecia e Ungheria); di questi, 21.000 sono in attesa di giudizio. Nelle prigioni italiane si trovano inoltre 2.900 donne, 60 con i loro bambini. «È un'ipercarcerazione senza precedenti, che intasa il sistema giudiziario e rende gli istituti di pena dei gironi infernali», dice Gonnella. «E, soprattutto, non corrisponde a una diminuzione dei reati». Lo provano i dati sulle prescrizioni, 221.880 solo nel 2004. Cosa significa? «Si tratta di una giustizia sempre più classista - dice Sergio Segio, tra i fondatori di Prima Linea, che ha scontato 22 anni di carcere e ora è un attivista per i diritti dei detenuti - Le prigioni continuano ad affollarsi di immigrati, tossicodipendenti, gente ai margini della società che non può permettersi una tutela legale adeguata ed è stata penalizzata dalle leggi ad hoc degli ultimi anni». Il colpo di grazia sulla sostenibilità carceraria, sostiene la maggior parte delle associazioni, sarà assicurato dalla legge ex-Cirielli, i cui primi risultati si attendono tra breve. «Con l'aumento della pena per i recidivi (da un quarto a un terzo) e il venir meno della discrezionalità del giudice - spiega Gonnella - prevediamo un ritorno in massa dei soliti noti. Le carceri italiane saranno al collasso». Già oggi, secondo la ricerca condotta da Antigone in 120 istituti di pena in Italia, il quadro è sconcertante: il 57% dei detenuti è stato colpito da tubercolosi, il 66% dalla scabbia. Le condizioni igieniche sono raccapriccianti e il sistema sanitario, penalizzato dai tagli, è allo sfascio. Anche il numero dei suicidi è aumentato (vedi box). «L'amnistia e l'indulto sono provvedimenti che tamponano il problema - precisa Segio - Ci vuole una vera riforma del sistema carcerario». Si badi: amnistia e indulto non sono colpi di spugna sulle colpe passate. Si tratta, nel primo caso, di un'estinzione del reato e di una sospensione della condanna (tranne in caso di recidività) mentre, nel secondo, è applicato uno sconto sulla pena. Dura anche per chi ci lavora L'aumento della carcerazione non ha prodotto finora una riduzione dei reati, ma un aumento della recidività. «All'uscita dal carcere, un detenuto su quattro non ha una casa a cui tornare - continua Segio - Facile, quindi, ricadere nell'illegalità. Ma la nostra proposta riguarda un Piano Marshall per le carceri: cioè un programma di recupero del detenuto, che inizi già dietro le sbarre». Un piano appoggiato anche da alcuni sindacati di guardie penitenziarie. «Il carcere è un brutto posto non solo per vivere ma anche per lavorare - dice Fabrizio Rossetti, della Cgil Polizia penitenziaria - Il sovraffollamento crea una condizione lavorativa insostenibile, che può facilmente sfociare in violenza». Dei 60.000 detenuti italiani si occupano infatti 42.400 poliziotti, di cui un terzo è adibito a mansioni non istituzionali. E il Regolamento di esecuzione penitenziaria Corleone (dal nome dell'ex sottosegretario alla Giustizia) del 2000, che prevedeva docce, spazi e passaggi, non è mai stato applicato. «Occorrerebbe liberarsi dal bisogno del carcere - conclude Rossetti - Perché com'è adesso, non può recuperare nessuno».

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