Attacchi in crescita in modo esponenziale: nel 2011 ogni giorno depredata una nave. Dal Corno d'Africa al Sud America il dilagare di una realtà che mette a repentaglio la sicurezza degli equipaggi. Dal 2009 in Italia estesa a questa tipologia di rischi la copertura assicurativa per le imbarcazioni che compiono rotte internazionali
Sono i "nuovi barbari" del mare, moderni briganti protagonisti di un fenomeno delinquenziale che, in apparenza lontano da noi, invece dilaga in tutti i mari del mondo, al ritmo di una nave attaccata al giorno.
A questa realtà tanto moderna quanto drammatica - e che mette fortemente a repentaglio la vita e la sicurezza del personale marittimo (basti pensare che, nel 2010, i membri degli equipaggi presi in ostaggio sono stati quasi 1.200 - e alle strategie per affrontarla, è stata organizzata ieri, a Roma, presso la sede di Confitarma, dall'Istituto italiano di navigazione la tavola rotonda "Uomini e tecnologie per sconfiggere i pirati in mare".
La mappa delle aree più a rischio. Sono davvero numerose le aree nel mondo considerate ad alto rischio di offensiva: a partire dal Corno d'Africa - Somalia in testa -, dallo Stretto di Malacca, dal Bangladesh, dall'Indonesia e dallo Stretto di Singapore. Oltre queste si segnalano sempre per l'alto livello di pericolosità anche le zone di fronte alle coste di Tanzania e Kenya e, sull'Atlantico, della Nigeria e, ancora, le acque del mare Arabo, del Sud America e dei Caraibi. Si tratta di zone strategiche per il trasporto marittimo: basti pensare che nel golfo di Aden i transiti sono circa 22mila all'anno (il 30% del totale del pianeta) e che da qui passa il 15% delle merci di tutto il mondo e il 30% dei carichi di petrolio destinati ai paesi che si affacciano nel Mediterraneo.
Non semplici predoni, ma una vera piaga socio-economica. I dati sugli attacchi diffusi nel corso della tavola rotonda hanno confermato come la pirateria non sia soltanto un semplice atto delinquenziale, ma una minaccia per la pace internazionale.
Senza contare, infatti, le conseguenze economiche del fenomeno (che valuteremo tra poco), il livello di minaccia raggiunto attualmente dalla pirateria pone in pericolo - e rende sempre più difficoltosa - la distribuzione di aiuti umanitari in Somalia (in particolar modo quelli provenienti via mare e gestiti dal World Food Programme) e determina un sensibile incremento dei costi assicurativi per le unità mercantili (quelli delle navi da carico che intendono passare attraverso il Golfo di Aden, per esempio, sono aumentate di ben dieci volte nel corso degli ultimi anni).
Ancora, un attacco di pirateria può potenzialmente trasformarsi in un disastro ambientale marino, qualora una grossa nave cisterna venga affondata a causa dell'uso di armi sempre più potenti di cui dispongono i pirati nei loro arrembaggi. Infine, si teme che le organizzazioni di pirati - per le loro ramificazioni, potenza e capacità bellica - possano diventare facile bacino di "forza lavoro" di network terroristici.
Dopo anni di stasi, dal 2009 attacchi in impennata. Il fenomeno - dopo una fase di discesa costante dovuta al maggior controllo operato dalle Marine di tutto il mondo (con 445 attacchi nel 2003, 335 nel 2004, 276 nel 2005 e 239 nel 2006) - da tre anni è in forte aumento. Se nel 2007 le incursioni dei pirati erano state 263, nel 2010 sono risultate 445 le imbarcazioni attaccate (il 10% in più rispetto alla stagione precedente), con 219 tentativi di abbordaggio, 49 sequestri di navi e 1.181 marittimi presi in ostaggio. Se ogni caso di riscatto ha un costo medio per l'impresa armatoriale di circa 5,9 milioni di dollari, l'ammontare totale raggiunge, dunque, un totale di circa 238 milioni di dollari. Si tratta solo di una delle tante voci "in perdita" legate a questa attività criminosa che - tra investimenti per la sicurezza degli equipaggiamenti, polizze assicurative, spese processuali e costi legati alle rotte alternative per evitare i pericoli - secondo il think tank statunitense One Earth Future - arriva a pesare sulla comunità internazionale una cifra che oscilla tra i sette e i dodici miliardi di dollari l'anno.
Equipaggi sempre più in pericolo. Si tratta, quindi, di una realtà davvero drammatica, non soltanto per la sorte delle imbarcazioni e dei carichi, ma soprattutto per la sicurezza degli equipaggi. E il 2011, da questo punto di vista, non sembra essere cominciato all'insegna dei migliori auspici: nei primi 26 giorni di gennaio, infatti, le navi attaccate dai pirati sono state 34, più di una al giorno, con tre abbordaggi e sei sequestri. I predoni si sono dimostrati sempre meglio armati e più audaci nel ferimento dei membri dell'equipaggio, al punto da provocare una crescita del 35% nel numero di incidenti che hanno comportato l'uso di armi da fuoco. La strategia di difesa italiana: uomini, esercito e tecnologie.
Ma come proteggere le navi italiane da questo rischio?
Le risposte più efficaci, al momento, sembrano tre: uomini, mezzi militari e tecnologie all'avanguardia. Se è vero che il diritto marittimo limita la possibilità di intervento della Marina militare alla difesa - e non all'offesa - la libertà di navigazione resta, tuttavia, un titolo dello stato sovrano e, in quanto tale, rende legittimo l'uso della forza nel poterlo, e doverlo, garantire. Già in passato interventi del genere hanno rivelato la loro efficacia. Nel 2005, infatti, lungo le coste della Somalia furono attaccate a una settimana di distanza la petroliera Cielo di Milano, della d'Amico di Navigazione, e la portacontainer Jolly Marrone, del gruppo Messina.
La gravità di due episodi reiterati a così breve distanza di tempo spinse la Confederazione degli armatori a chiedere l'intervento del governo e il ministero della Difesa - ha spiegato l'ammiraglio Fabio Caffio, dello Stato maggiore della Marina - decise di intervenire con l'operazione "Mare sicuro". L'intervento, portato avanti con il pattugliatore di squadra Granatiere che batté la zona per 92 giorni, determinò l'interruzione degli attacchi. Si trattò, tuttavia, di una tregua relativa. Il 7 marzo 2006, racconta Caffio, ci fu un tentativo di attacco alla cisterna Enrico Ievoli di Marnavi, al largo dello Yemen, sventato in questo caso da un elicottero della Marina partito dalla fregata Euro. La risposta delle Nazioni Unite e dell'Europa. Bisogna arrivare al 2008 per vedere le Nazioni Unite riconoscere la pirateria come una minaccia alla sicurezza internazionale e alla libertà di navigazione.
Ed è nel dicembre di quell'anno che l'Europa, con l'operazione Atalanta prende, coscienza di essere una "nazione marittima". Belgio, Francia, Italia, Gran Bretagna, Germania, Grecia, Olanda, Spagna e Svezia diedero vita, così, a un programma di protezione in mare a tutela di qualunque bandiera attraverso una missione non di carattere militare, ma utilizzando i militari come forze "in assetto di difesa" e non "d'offesa". Tra le altre misure previste la sorveglianza delle zone al largo della Somalia e, in caso di necessità, anche l'uso della forza per prevenire e reprimere gli atti criminali (includendo l'arresto o il fermo delle persone che hanno commesso i reati).
Il Consiglio d'Europa si è spinto anche oltre, arrivando a prevedere con la risoluzione 1851 interventi a terra preventivi per scovare gruppi di presunti pirati ritenuti responsabili - talvolta con la copertura dei governi locali - di traffico d'armi. Cosa chiedono gli armatori italiani. Il programma Atalanta sembra, però, non bastare comunque alla tranquillità dell'armamento privato. Per Cesare d'Amico, amministratore delegato della "D'Amico Soc. di Nav.ne SpA" e presidente del Gruppo operativo navale di Confitarma, la risposta agli atti di pirateria deve essere duplice. "Occorre sostenere l'investimento per la sicurezza di uomini e carico attraverso strumentazioni tecnologiche sempre più sofisticate", ha sostenuto nel suo intervento alla tavola rotonda, "con costi, tuttavia, più abbordabili" (un moderno sistema con telecamere termiche e radar con raggio d'azione di circa 50 chilometri può arrivare a toccare il prezzo di mezzo milione di euro). Oltre a ciò, secondo d'Amico, non si può rinunciare "all'intervento militare a bordo, con squadre armate composte da uomini addestrati provenienti dalle forze armate nazionali, al fine di scoraggiare e dissuadere eventuali attacchi".
In quest'ultimo caso, ha concluso il presidente di Confitarma, l'armamento privato sarebbe disposto a partecipare ai costi dell'operazione. Una copertura assicurativa ad hoc. Sul fronte assicurativo, nel 2009, l'allora Ipsema - oggi INAIL - proprio a fronte dei rischi crescenti per gli equipaggi di navi italiane che compiono rotte internazionali decise di estendere la copertura contro i possibili danni provenienti da conflitti derivanti da guerre includendo anche gli episodi di pirateria. La misura del premio supplementare è pari al 5%.
La decisione dell'estensione fu originata dall'esigenza concreta di protezione dei proteggere l'incolumità e la salute dei lavoratori marittimi manifestata più volte dallo stesso armamento privato.