ROMA - Molto o tutto sulle spalle delle famiglie. In Italia l'assistenza agli anziani, soprattutto quelli non autosufficienti, è un affare di famiglia: direttamente, o attraverso l'aiuto di badanti, sono i familiari ad occuparsi del proprio parente. Questo modello però col tempo è destinato a diventare insostenibile: appare allora preoccupante l'incapacità del paese di dotarsi in misura adeguata dei servizi necessari, ad iniziare dall'assistenza domiciliare integrata. A segnalarlo è il secondo Rapporto del Network per la non autosufficienza (Nna) promosso dall'Irccs-Inrca per il Network nazionale per l'invecchiamento. Secondo gli autori, i passi avanti che il paese avrebbe dovuto registrare negli ultimi anni, quando la consapevolezza della centralità della non autosufficienza si è fatta strada, non sono stati compiuti: le politiche attuate a livello nazionale negli ultimi due anni e mezzo hanno un "bilancio negativo": a prevalere infatti sono la "mancanza di progettualità" e le "occasioni perse", con i singoli interventi attuati caratterizzati per essere sostanzialmente avulsi "da un progetto complessivo di sviluppo del sistema".

Il risultato è il permanere di tutte le particolarità italiane in tema di non autosufficienza, a partire da una estrema variabilità dei servizi regionali, con una maggiore diffusione al Nord di assistenza domiciliare integrata e servizi di assistenza domiciliare (ma su valori comunque inferiori ai livelli raggiunti in altri grandi paesi europei) e un Sud ancora legato ad un modello di compensazione - evidentemente improprio - che comporta un'incidenza maggiore delle prestazioni monetarie per invalidità civile (soprattutto l'indennità di accompagnamento) a fronte da una relativa assenza di servizi sul territorio. A livello europeo, l'Italia non fa poi una gran figura: è il paese europeo con più badanti (vi ricorre il 13% delle famiglie) e con meno servizi pubblici (solo il 5% dei non autosufficienti dispone di servizi domiciliari pubblici). E anche la presenza delle badanti non è esente da criticità, sia per la professionalità limitata o comunque non formalizzata rispetto alle norme del mercato del lavoro e del sistema d'istruzione italiano, sia per il suo legame con le politiche di immigrazione (la recente regolarizzazione non ha mantenuto le aspettative e ha portato a non più di 100mila posizioni sanate). 

Il rapporto, che analizza l'evoluzione degli interventi pubblici nel nostro paese e propone un approfondimento sui servizi domiciliari, si concentra sull'offerta a titolarità pubblica rivolta agli anziani non autosufficienti e esamina anche l'andamento degli interventi attuati nelle regioni nel periodo 2005-2010, corrispondente nella gran parte dei casi all'ultima legislatura regionale. Da questo punto di vista, il rapporto segnala che l'introduzione del sistema del Fondo regionale per la non autosufficienza "ha costituito l'occasione per un riesame complessivo dell'insieme di servizi e interventi dedicati, e per una loro progettazione unitaria": per la prima volta cioè le regioni hanno considerato l'assistenza continuativa come un settore complessivo e autonomo del welfare, diverso dai servizi sanitari e da quelli sociali. La difficoltà comune è però quella di costruire un nuovo settore di welfare (l'assistenza continuativa) cercando al contempo di ammodernarne uno che già esiste (la sanità); un procedimento che in alcune regioni ha portato a qualche risultato (Emilia Romagna, Lombardia, Toscana, Veneto) ma che in altri è bloccato dai cospicui disavanzi sanitari pregressi (Liguria, Lazio, Abruzzo, Molise, Campania, Calabria, Sicilia e Sardegna hanno avuto a che fare a vario titolo con Piani di rientro dal deficit). Il processo è comunque avviato e la legislatura 2010-2015 (iniziata però con una nuova stretta sul bilancio statale) si preannuncia cruciale nella costruzione di un sistema diventato sempre meno rinviabile. (ska)

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