Preoccupa fortemente i Patronati la procedura informatica per il decreto flussi 2010, attiva da oggi sul sito del ministero dell'Interno in vista del primo click day del 31 gennaio. «Pur apprezzando le innovazioni informatiche apportate al sistema di compilazione e di invio delle domande - afferma il Patronato Acli - permangono le perplessità su
una procedura che penalizza di fatto i datori di lavoro, soprattutto famiglie, che si rivolgeranno ai Patronati e alle associazioni, come già accadde nel 2007».
Il sistema di accoglimento delle richieste si basa infatti sul criterio cronologico (ora, minuto, secondo?) della ricezione delle domande da parte del Ministero dell'Interno, fino all'esaurimento dei posti disponibili (52.080 per il primo click day). Tutti gli invii, compresi quelli generati con l'assistenza delle associazioni o dei patronati, verranno gestiti in maniera singola, domanda per domanda. Di conseguenza, proprio le associazioni e gli enti di Patronato, che avranno numerose domande da inviare, saranno oggettivamente svantaggiate rispetto alle richieste inviate autonomamente dai privati.
«Siamo costretti ancora una volta ad una situazione antipatica» afferma il vicepresidente delegato del Patronato Acli
Fabrizio Benvignati. «Abbiamo la preoccupazione e il dovere morale di informare i cittadini che si rivolgono a noi sul rischio che la loro domanda potrebbe non rientrare nella graduatoria per motivi connessi alla procedura telematica.
La nostra mediazione, di cui siamo formalmente incaricati proprio dal Ministero dell'Interno, potrebbe paradossalmente rivelarsi svantaggiosa per il cittadino, al quale daremo ovviamente tutta la nostra assistenza, suggerendogli tuttavia l'invio autonomo della domanda».
«Queste complicazioni - continua Benvignati - vanno purtroppo ad aggiungersi alle anomalie tante volte denunciate di questo sistema di incontro tra domanda e offerta di lavoro di personale non comunitario che andrebbe profondamente rivisto. Sappiamo che almeno la metà dei lavoratori richiesti, formalmente residenti all'estero, sono in realtà presenti in Italia in modo irregolare. Far incontrare ricerca e offerta di lavoro a distanza di migliaia chilometri è praticamente impossibile. Sarebbe più utile ed efficace l'introduzione di un
permesso di soggiorno per ricerca di lavoro che duri almeno sei mesi. O almeno consentire una prenotazione degli ingressi regolari in Italia anche attraverso le strutture dei Patronati che già lavorano nei Paesi di immigrazione verso l'Italia».