Esattamente un anno dopo il terremoto che ha sconvolto il paese, Haiti non si è ancora risollevata. Negli ultimi 12 mesi altre catastrofi si sono abbattute sull'isola caraibica, sommando dolore, morte e distruzione al carico di sofferenze di questo popolo tra i più martoriati al mondo. Mentre la situazione politica è sull'orlo del baratro. Di emergenza in emergenza L'infermo delle Antille, come l'hanno ribattezzata i molti operatori umanitari che sono giunti da tutto il mondo a dare una mano, assomiglia sempre di più a un girone dantesco. A dispetto del nome sontuoso, Port-au-Prince, è un'immensa tendopoli. Tende vere e proprie, offerte dalle organizzazioni internazionali, sono addossate a ripari di fortuna, fatti in maggioranza di stracci legati fra loro. Chi non ha perso la casa, vive nelle baraccopoli cresciute nella capitale già prima del 12 gennaio 2010. Le strade sono piste di fango e polvere. La corrente elettrica arriva solo poche ore alla settimana. Così di notte la città sprofonda nel buio più totale. Un buio fitto interrotto solo dai fuochi appiccati ai cumuli di immondizia che vengono brucati perché nessuno li raccoglie. In questo contesto, ad ottobre, è esplosa improvvisamente nella regione di Artibonite, tra la capitale e l'isola della Tortuga, un'epidemia di colera. Il morbo, che non faceva la sua comparsa da almeno un secolo, si è rapidamente diffuso in tutto il paese, contagiando circa 47 mila persone e aggiungendo al momento altre 2 mila vittime alle circa 230 mila persone morte sotto le macerie. Per evitare il contagio bisognerebbe non usare acqua contaminata, lavarsi spesso le mani, pulire il più possibile gli alimenti. Ma nelle tendopoli è praticamente impossibile attenersi alle prescrizioni igieniche raccomandate dalle autorità. Come se non bastasse, ai flagelli che hanno sconvolto il paese si è aggiunto il ciclone Tomas che tra il 5 e il 7 novembre ha distrutto e danneggiato quasi 13 mila case, soprattutto nella regione nord occidentale, una zona che non era stata colpita dal terremoto e dove migliaia di sfollati scappati dalla capitale avevano trovato rifugio da amici e parenti. Nonostante la poderosa macchina dei soccorsi che si è mobilitata, Haiti non sembra ancora aver imboccato la strada per ricominciare. Il paese si porta appresso il retaggio di condizioni economiche e sociali drammatiche, un carico di problemi irrisolti che ne fanno uno degli stati più poveri al mondo. In più a complicare le cose si è messa anche una crisi politica dagli sbocchi difficili da immaginare, dopo le violente contestazioni ai risultati delle elezioni presidenziali del 28 novembre. L'intervento di Caritas Ambrosiana. Nei giorni immediatamente successivi al terremoto, Caritas Ambrosiana ha accolto il messaggio di aiuto degli operatori delle Caritas nazionali di Haiti e della confinante Repubblica domenicana, che da subito si erano mobilitati per portare soccorso. In accordo con Caritas Italiana e il network di Caritas Internationalis ha lanciato una raccolta fondi. La cifra raggiunta grazie alle offerte (3.720.256 euro, compresi i fondi raccolti direttamente dalla Diocesi) ha reso possibile finanziare una serie d'interventi che nel corso dell'anno sono stati indirizzati per far fronte alle varie emergenze che si sono presentate con il passare dei mesi. Una prima quota (311.750 euro) è stata spesa per comprare cibo, acqua, prodotti per l'igiene e attrezzare le tendopoli nella capitale e nei dintorni, la regione cioè dove si trovava l'epicentro del sisma e che, quindi, ha subito i danni più gravi. Una seconda tranche (50 mila euro) è stata utilizzata per l'acquisto e la distribuzione di medicine per i malati di colera. Infine 150 mila euro sono andati al sostegno degli sfollati che avevano abbandonato la capitale e avevano trovato riparo da amici e parenti in particolare nel Nord Ovest del paese, nella diocesi di Port-de-Paix. Il gemellaggio con Port-de-Paix In questa diocesi, sono state inviate da settembre a novembre, due operatrici di Caritas Ambrosiana, Elisa Brivio e Stefania Cardinale. Scopo della loro missione era analizzare, in modo più approfondito, la tipologia e la presenza degli sfollati in fuga dalla capitale e aiutare in particolare, don Giuseppe Noli, don Marco Brescianini e suor Maddallena Boschetti, i tre religiosi ambrosiani fidei donum presenti da anni nella diocesi caraibica, nel grande sforzo di accoglienza messo in campo nelle parrocchie di Mare Rouge, Bombardopolis, Mole St Nicolas e Jean Rabel. Secondo la ricerca condotta sul campo, sarebbero 25mila le persone senza tetto che hanno perso la casa a Porte-au-Prince e hanno cercato qui ospitalità, aggravando tra l'altro una situazione sociale già molto pesante. «Si tratta in gran parte di giovani universitari che si erano trasferiti nella capitale per motivi di studio e che, dopo il terremoto, sono rientrati in famiglia. Una parte, inoltre, è costituita da lavoratori, in genere piccoli commercianti, che hanno perso sotto le macerie le loro botteghe e ora sono tornati a fare il mestiere dei loro padri, coltivare i campi», spiega Elisa Brivio. In una zona economicamente depressa questo contro-esodo rappresenta un problema e al tempo stesso la sua soluzione. «Siamo un una zona molto povera. In montagna, si pratica un'agricoltura di sussistenza, sulla costa ci si dedica, invece, alla pesca. La sola risorsa è il carbone che però è all'origine anche del fenomeno del disboscamento - spiega Stefania Cardinale -. La Chiesa locale in questo momento si sta facendo promotrice con la società civile di un nuovo modello di sviluppo e invita i giovani a rimanere e a non lasciarsi lusingare da prospettive di lavoro e guadagno a Port au Prince che al momento sono del tutto inesistenti». Un cammino che Caritas Ambrosiana ha scelto di sostenere. Per il secondo anno di attività ha già destinato 650 mila euro per aiutare le vittime del terremoto che sono rientrate a trovare qui nuove opportunità e risollevare le sorti di una regione abbandonata ma ricca di potenzialità.

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