ROMA - Alla fine il tribunale del lavoro di Londra ha messo un punto alla questione sollevata da Jane Cordell, disabile di 44 anni, nominata vice-ambasciatore ad Astana, capitale del Kazakistan. Incarico subito revocato dal ministero degli Esteri britannico a causa dei "costi aggiuntivi" dovuti alla sua disabilità. A darne notizia è il quotidiano britannico The Independent, che ha seguito la vicenda sin dall'inizio. La donna, sorda dall'età di 21 anni, quando è rimasta coinvolta in un grave incidente, dopo essersi laureata a Cambridge ha fatto l'insegnante e l'editor per la Cambridge University Press, per poi entrare al Foreign office di Varsavia come primo segretario per quattro anni. Un'esperienza che le ha permesso un avanzamento in carriera, ricevendo la nomina di vice ambasciatrice in Kazakhstan. Almeno fino a quando al ministero degli Esteri non hanno fatto i conti in tasca con i tagli imposti dall'esecutivo di David Cameron, il nuovo inquilino di Downing Street.
La nomina a vice ambasciatrice, infatti, è durata ben poco. Secondo il ministero degli Esteri i costi necessari per avere degli interpreti con lei sarebbero troppi, circa 240mila sterline, cinque volte il suo salario e una spesa pari a quella necessaria all'intera retribuzione di tutto lo staff dell'ambasciata. Una ragione che non ha convinto del tutto la Cordell che si è rivolta al tribunale del Lavoro, accusando il Foreign office di precludere l'avanzamento di carriera alle persone con disabilità. Nonostante la stessa Cordell avesse calcolato una spesa minore per gli interpreti, circa 170 mila sterline, e avesse fatto notare come al personale diplomatico è corrisposto il costo dell'istruzione privata per i figli quando lei invece non ne ha, per il tribunale di Londra non ci sono stati dubbi: in tempo di crisi, i diritti hanno un peso diverso rispetto ai soldi. E tale spesa per mantenere gli interpreti, si legge in parte della sentenza pubblicata dal quotidiano inglese, sarebbe "semplicemente irragionevole".
Secondo l'Equality and human rights commission, organizzazione che ha contribuito a finanziare l'azione legale, la sentenza non promette niente di buono per le oltre 200 persone con disabilità che lavorano nel Foreign office, di cui 52 impiegati in sedi all'estero. La sentenza, spiega un portavoce della commissione, ha lasciato la Cordell in un "limbo" in cui non è chiaro quali possano essere i costi ragionevoli e se possa in futuro lavorare all'estero. La decisione del tribunale, infatti, poggia su di una norma che prevede l'obbligo per i datori di lavoro di provvedere a "ragionevoli aggiustamenti" per consentire alle persone con disabilità di lavorare, ma che in questo caso ha obbligato il ministero degli Esteri a rimettere in discussione una nomina di un vice ambasciatore.
Sulla vicenda è intervenuto anche Charles Crawford, ex ambasciatore a Varsavia, che sempre sull'Independent commenta la notizia della sentenza del tribunale. "Il risultato complessivo? Il Foreign office ha vinto questo caso, ma non c'è nulla di cui essere orgogliosi". Un'amara riflessione, quella di Crawford, che non porta nulla di buono per il futuro. "Il piccolo numero di diplomatici disabili britannici oggi sono di fatto divisi in due malsane categorie - ha aggiunto -. Coloro le cui disabilità possono essere sostenute a buon mercato oltremare. E chi, come Jane Cordell, sono troppo costosi per essere inviati nelle nostre ambasciate all'estero. Il punto centrale della legislazione in materia è quello di contribuire a rompere le barriere. Questo invece è un risultato triste, per le persone sorde in particolare. Soprattutto per quanto riguarda la mission del Foreign office, cioè quella di "essere leader mondiale nell'abbracciare e valorizzare le differenze".