Dai latifondi agli orti. Dall'agricoltura intensiva a quella su piccola scala che garantisce autonomia ai produttori locali. Dalle importazioni che creano dipendenza alla sostenibilità. Slow food scommette sul continente più difficile, l'Africa, e sul cambiamento attraverso «piccoli progetti concreti e replicabili». A Terra Madre, la manifestazione che radunerà a Torino dal 21 al 25 ottobre cinquemila rappresentanti delle comunità del cibo da tutti e cinque i continenti, l'associazione fondata da Carlin Petrini (e oggi presente in 163 Paesi) lancerà l'iniziativa "Mille orti in Africa", da realizzare in 20 Paesi del continente.
«Qualche tempo fa ci siamo posti il problema se un discorso come quello che stiamo facendo sulla qualità, sui prodotti di territorio avesse senso in un continente dove c'è il dramma della fame» afferma Serena Milano, 39 anni, segretario generale della Fondazione Slow Food per la biodiversità. «La risposta è arrivata dopo il confronto con circa 700 contadini africani alla prima edizione di Terra Madre. Parlando con loro e ascoltando i loro problemi ci siamo accorti che l'agricoltura famigliare di piccola scala che si basa sulla sostenibilità, la diversificazione e che promuove i prodotti e il consumo locale è forse l'unica alternativa al continuo aggravarsi del problema della fame e della perdita di diritti delle comunità».
A sud del Sahara esistono presidi Slow Food che tutelano prodotti agricoli dal rischio di estinzione, 164 comunità che si ispirano ai principi dell'associazione, progetti e attività di educazione nelle scuole. L'obiettivo è di creare entro il 2011 mille orti. L'orto è un laboratorio ideale» spiega la responsabile di Slow Food. «Si riesce a fare lavoro di comunità e intergenerazionale, a far collaborare gruppi sociali diversi. Non consegniamo un kit con le sementi e i fertilizzanti per fare l'orto. Aiutiamo invece i contadini a diventare autonomi e a recuperare il loro sapere. Cerchiamo di indirizzarli a recuperare le varietà locali, che sono più resistenti e hanno meno bisogno di input esterni. Insieme all'orto promuoviamo attività di educazione, facciamo in modo che bambini della scuola vicina apprezzino quei prodotti e imparino a cucinarli, raccolgano le ricette dei loro nonni così da mettere per iscritto le conoscenze locali».
Negli anni 60 e 70 i Paesi africani esportavano cereali e riso e ne producevano a sufficienza per il consumo interno. Ora importano l'80-90% di quanto consumano. Nei mercati, si trova riso thailandese e brasiliano, frutta e verdura europea che costa la metà di quella locale. «Slow Food sostiene i contadini con piccoli progetti concreti e replicabili, e favorisce le reti fra diversi soggetti. In Africa i contadini hanno problemi di tipo tecnico e economico, ma uno dei principali è l'isolamento. Un modo di romperlo è attraverso la rete internazionale: le dieci donne che allevano polli in Kenya in questo momento sono aiutate da un gruppo di allevatori toscani. Non sono né docenti né grandi esperti ma le stanno aiutando a risolvere problemi molto concreti».
Secondo i primi dati, alla quarta edizione di Terra Madre saranno presenti 2.634 contadini, allevatori, pescatori e produttori artigianali dell'agroalimentare, 560 cuochi, 283 docenti, 771 studenti e 185 musicisti. Ben 700 volontari accompagneranno i visitatori e gli ospiti della manifestazione ospite del Salone del Gusto di Torino. Il budget dell'evento è di circa 3,8 milioni di euro.
Il focus dell'edizione 2010 sarà sulle diversità culturali e linguistiche, e dunque la salvaguardia delle etnie e delle lingue autoctone, la valorizzazione dei valori dell'oralità e della memoria. L'edificio olimpico dell'Oval e il vicino Lingotto ospiteranno gli incontri del meeting mondiale delle comunità del cibo e 70 "Laboratori della Terra", ai quali si potrà contribuire anche a distanza attraverso forum online. A chiusura dell'evento sarà presentato il documento sulle politiche alimentari e la sostenibilità, con le proposte della rete per un futuro sostenibile.
Emanuela Citterio