Subito dopo la famiglia, la scuola dovrebbe essere il posto più accogliente per un figlio adottivo. I figli adottivi rappresentano una parte sempre più consistente della popolazione scolastica.
Nonostante questo, la scuola italiana non ha ancora sviluppato strumenti adeguati per rispondere efficacemente alle loro particolari esigenze. Per sollecitare una immediata riflessione sul benessere dei bambini adottati a scuola, Amici dei Bambini, insieme a un nutrito gruppo di associazioni di genitori adottivi e di enti che si occupano di adozioni chiede, in una lettera al ministro dell'istruzione Mariastella Gelmini, un incontro urgente. Promotori dell'iniziativa l'associazione Genitori si diventa e il Coordinamento Oltre l'adozione.
Fra i firmatari, oltre ad Ai.Bi. figurano l'Associazione nazionale famiglie adottive ed affidatarie, La Gabbianella ed altri animali, Associazione Genitori di Cuore, Agenzia Regionale per le adozioni internazionali-Regione Piemonte, Amici Missioni Indiane, Cifa, Ciai, L'Airone.
"Quello che spesso si nota a scuola nei bambini adottati - si legge nella lettera , come pubblica oggi il quotidiano Avvenire- è una sorta di immaturità, una grande fatica, emotiva, cognitiva. Una difficoltà ad apprendere che richiede tempo e dedizione. Essere adottati significa essere passati da un mondo ad un altro, significa aver passato una fase di ?transizione' dallo stato dell'abbandono allo stato dell' appartenenza». Difficoltà di apprendimento che purtroppo spesso, nella scuola italiana, vengono considerate alla stregua di veri e propri handicap. Eppure, «non è creando una sottocategoria in cui incasellare i bambini ?problematici' - si legge ancora nella lettera - che si risolvono le questioni, ma rendendosi disponibili a pensare ogni bambino come avente diritto di attenzione ». Attenzione, nel caso dei bambini adottati, a quelle specificità dovute alle loro fasi di transizione e in cui spesso si ha solo e soprattutto bisogno di tempi e spazi adeguati. Fra l'altro, sempre più spesso, per migliorare i tempi di inserimento (soprattutto per prolungare la scuola dell'infanzia) viene richiesta - ed è qui il paradosso, denunciano le associazioni - proprio la certificazione della disabilità.