Un palazzo infestato al 13° piano? A prima vista sembra un classico dell'horror. In realtà, in "Lavori forzati", la nuova avventura dell'Indagatore dell'incubo, si tratta di un caso di caporalato. Ne parla lo sceneggiatore del fumetto, Giovanni Di Gregori
BOLOGNA - Dylan Dog personaggio sociale? Sembra di sì, almeno a giudicare dall'ultima indagine che lo vede coinvolto: un horror che nasconde una realtà di sfruttamento dell'immigrazione irregolare, di lavoro nero e di morti bianche. Si tratta di "Lavori forzati", albo in edicola in questi giorni (numero 288 della serie regolare), scritto da Giovanni Di Gregorio e disegnato da Maurizio Di Vincenzo. Non è la prima volta che l'indagatore dell'incubo si imbatte in casi di mobbing o sicurezza sul lavoro: basta pensare a "Le morti bianche" di Giovanni Gualdoni, uscita sul Maxi Dylan Dog di luglio 2009.
"La Bonelli mostra da sempre un grande interesse verso le tematiche sociali", racconta Di Gregorio. "Nei primi albi della serie, Tiziano Sclavi mescolava la fiction onirico-psicologica con storie più aderenti alla realtà, come quella di Johnny Freak ad esempio". Una sorta di ritorno alle origini, dunque.In "Lavori forzati" Dylan Dog si trova alle prese con un palazzo infestato, come nella più classica delle storie horror, salvo poi essere catapultato in un vero e proprio lager in cui immigrati irregolari lavorano alla costruzione del tredicesimo piano incalzati da aguzzini-animali.
Il finale svelerà l'origine delle urla e dei lamenti strazianti che hanno fatto guadagnare al London Clipper la fama di palazzo sinistro: il cadavere di uno degli operai, morto sul lavoro, che il capocantiere ha cementato in uno dei piloni di sostegno."La parte difficile delle storie a sfondo sociale è la retorica", continua Di Gregorio. "Non sempre si riesce a evitarla, purtroppo. In Brancaccio (Beccogiallo, 2007), ad esempio, sono convinto di aver fatto un buon lavoro.
Qui sono contento della scelta di rappresentare la moltitudine dei lavoratori irregolari attraverso un operaio senza volto né nome". Una metafora dei nuovi schiavi che lavorano nelle fabbriche o nei cantieri e di cui non si sa nulla, a volte nemmeno il nome. Altra scelta interessante, anche se più scontata, è quella di trasformare gli aguzzini in animali, "ho voluto rappresentarli come animali per tenerli separati dall'umanità disperata dei lavoratori.
Ho scelto mantidi, cani, gufi e serpenti perché sono predatori".In "Lavori forzati" il tredicesimo piano del London Clipper diventa una sorta di Torre di Babele. "Non per ansia di onnipotenza", specifica Di Gregorio, "ma perché riunisce persone provenienti da paesi diversi che non comunicano tra loro per la mancanza di una lingua comune. Sono fantasmi, che quando scompaiono, non lasciano tracce". Ora non resta che aspettare le reazioni dei lettori, sempre numerose e puntuali quando il loro beniamino affronta temi così importanti.
"Quando uscì 'Il re delle mosche", storia ambientata nel mondo universitario ricevetti molte lettere di persone che si riconoscevano nei personaggi", conclude Di Gregorio. "Ovviamente senza la vena horror".
(fonte: Redattore sociale)