E' l'ennesimo caso che è stato segnalato ad Ai.Bi. da una coppia di marocchini residenti da 30 anni in Italia che non riescono a portare con sé il bambino di quasi due anni accolto in Marocco con la kafala. Per le istituzioni marocchine Amhid è un bambino accolto da Mohammed Barakat e dalla moglie, ma non è così per il governo italiano che ancora non ha disciplinato questo istituto di diritto islamico. Il risultato è quindi che Ayman, pur avendo riconosciuto Mohammed e Amina come i suoi genitori, non può vivere in Italia con loro.

Ad appena due anni di età il bimbo ha già vissuto una vita tormentata.

Amhid è figlio di una giovane ragazza madre che, senza farlo sapere alla famiglia di origine, ha deciso di metterlo al mondo per poi abbandonarlo. Il segno tangibile di una fuga d'amore di cui non poteva lasciare traccia e di cui voleva disfarsi in tutta fretta. La famiglia Barakat, conosciuta la sua storia da una amica della ragazza madre, ha deciso di prendersi cura di questo neonato. La coppia si è occupata della trafila burocratica per dare un'identità a questo bambino registrandolo all'anagrafe e iniziando l'iter per accoglierlo in kafala. Da mesi il bimbo li riconosce come i suoi genitori perché fin dai primi giorni di vita sono state le persone che si sono occupate di lui. A maggio le autorità marocchine hanno affidato in kafala Ayman alla coppia Barakat. A giugno è stata negata la richiesta del visto per fare entrare Amhid.

Oggi la coppia è divisa tra l'Italia e il Marocco: il marito deve stare in Liguria per seguire la sua attività commerciale e la moglie ha scelto di rimanere in Marocco per stare insieme a Amhid.

"I motivi per cui è stato negato il visto a Amhid sono assurdi. - racconta Mohammed - Uno su tutti: si dice che la madre biologica è in vita, ma Amhid è un bambino abbandonato. La ragazza che l'ha messo al mondo non ha nessuna possibilità di prendersi cura di lui, né ha mai richiesto di vederlo considerando questa nascita come una vergogna da nascondere alla famiglia. Purtroppo in Marocco sono tante le ragazze che mettono al mondo un bambino nato da relazioni clandestine e li abbandonano ai margini delle strade o nei luoghi più nascosti pur di non farsi riconoscere. Amhid è legatissimo a noi. Ma è come se l'Italia avesse alzato delle barriere al suo ingresso."

L'Italia non riconosce l'istituto della kafala, anche se avrebbe dovuto farlo entro il 5 luglio scorso, attraverso la firma della Convenzione de l'Aja del 1996. Era questa la data termine stabilita dal Consiglio Europeo per i Paesi "ritardatari" come l'Italia. La Convenzione ha una portata storica perché riconosce che il supremo interesse del minore deve essere al di sopra delle difficoltà che incontrano gli ordinamenti nazionali nel dialogare tra loro, obbligando gli stati aderenti a trovare uno spazio giuridico comune al Paese di origine e a quello di residenza del minore. Questa convenzione, se applicata, avrà una portata rivoluzionaria perché permetterà di togliere da un limbo migliaia di minori in difficoltà familiare.

Per dare una risposta alle numerose segnalazioni che stanno arrivando, AiBi ha deciso di aprire un "libro bianco" per portare alla luce dei politici e dell'opinione pubblica una delle violazioni dei diritti umani più gravi di cui si sta macchiando in questo momento l'Italia. Amhid, come centinaia di altri bambini, si vedono negare uno dei diritti inalienabili che dovrebbero essere riconosciuti a ogni essere umano, quella di crescere in una famiglia, solo perché il nostro Governo non ha ancora trovato un accorso sulla disciplina della kafala.

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