Ha molti aspetti positivi il Piano Antimafia appena approvato in Senato. Soprattutto va sottolineato un punto fondamentale: l'impegno del governo a redigere entro un anno un testo unico antimafia, strumento che potrà finalmente mettere ordine in una materia giudiziaria assai complessa. Importanti anche le misure di prevenzione - nonostante si tratti ancora di direttive - e il potenziamento della confisca dei beni, compresi quelli localizzati all'estero. Con un'incognita: il testo fissa un tetto massimo di 1 anno e sei mesi (prorogabile di un anno per i casi più complicati) per passare dal sequestro alla confisca, pena il decadimento di quest'ultima. E' un limite che lascia perplessi, visto che la confisca dei beni ha avuto proprio nella lentezza delle procedure uno dei punti deboli. L'auspicio è che la neonata Agenzia nazionale per i beni confiscati sappia rimediare, eliminando intoppi e zavorre burocratiche.
 
Altri punti positivi: l'istituzione di una banca dati nazionale, il potenziamento della tracciabilità della spesa pubblica, i controlli fiscali, la costituzione di "stazioni" regionali per vigilare sugli appalti e la trasparenza dei contratti, il più forte coordinamento degli organismi antimafia, l'estensione delle operazioni investigative "sotto copertura" ai reati ambientali, l'obbligo di apertura di conti correnti dedicati per i flussi finanziari relativi ad appalti, sub appalti, fornitura di servizi. Progetti che, una volta realizzati, daranno più forza all'azione repressiva già ottimamente svolta dalla magistratura e dalle forze di polizia.

La generale positività del piano non deve però farci dimenticare una serie di aspetti sui quali pure occorre intervenire con riforme o potenziamenti.

Non si parla ad esempio dei testimoni di giustizia. Vicende, le loro, certo di complessa e delicata gestione perché toccano nel profondo i bisogni, gli affetti, i diritti e le speranze di una persona. E' necessaria qui una maggiore attenzione alla dimensione esistenziale, una diversa filosofia nell'approccio al testimone e più adeguati progetti di reinserimento socio-lavorativo: la stima dei beni di chi è costretto a lasciare la propria terra deve essere fatta tenendo anche conto del costo della vita altrove. Si tratta di cambiamenti urgenti perché in gioco non c'è solo l'interesse dei testimoni ma quello delle istituzioni e di tutti noi. Dobbiamo incoraggiare le testimonianze, fare in modo che chi si trova di fronte al dilemma morale della denuncia, superi i suoi legittimi scrupoli in virtù di garanzie certe di sicurezza e serenità affettiva ed economica. Altro capitolo delicato: quello dei collaboratori di giustizia. E' indubbiamente doveroso sottoporre le loro deposizioni a più ferrei riscontri, ma è controproducente vincolarle a scadenze temporali così rigide e stringenti, pena la loro inattendibilità e l'uscita dal programma di protezione.

La lotta alla criminalità organizzata non deve poi dimenticare i fenomeni di illegalità, di sfruttamento, di abuso. Reati che non sono mafia ma che alle mafie spianano spesso la strada, in un gioco di complicità e coperture. E' necessaria ad esempio una riforma del reato di "voto di scambio", nodo dei "commerci" tra mafie e politica, e una più rigorosa selezione delle candidature: gli svariati "codici etici" di autoregolamentazione proposti in questi anni si sono rivelati un argine debole se non fittizio per impedire la presenza nelle istituzioni di persone condannate o rinviate a giudizio per reati gravi.

C'è infine il tema spinoso e quanto mai attuale della corruzione. Non solo è caduto nel vuoto il disegno di legge più volte annunciato negli scorsi mesi, ma l'Italia è uno dei pochi paesi che ha firmato ma non ancora ratificato la Convenzione penale europea del 1999, mentre i reati per corruzione, ci dice la Corte dei Conti, sono aumentati del 229% rispetto all'anno scorso. E in cantiere c'è l'ormai noto ddl sulle intercettazioni. Un testo che, tra le oggettive migliorie, conserva un elemento allarmante: lo stralcio di quell'articolo di legge che dispone un'attività investigativa ad ampio raggio non solo per le mafie ma per tutte le attività illecite. Una legge che porta il nome di un magistrato che chi si batte per la democrazia e la giustizia sociale non può e non deve dimenticare: quello di Giovanni Falcone.

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