Andare oltre le menomazioni del corpo e affermare se stessi nella negazione dei propri limiti: nei thriller di Lincoln Ryhme e nel serial di House un criminologo tetraplegico e un dottore claudicante mostrano come non esistano barriere per chi rifiuta di arrendersi
ROMA - Uno è un tetraplegico C4, paralizzato in tutto il corpo salvo una debole mobilità del mignolo di una mano. L'altro ha subito un'amputazione del quatricipite femorale che lo ha reso zoppo. Uno vive in un letto, accudito ventiquattrore al giorno da un assistente. L'altro si muove grazie al bastone e ingurgita antidolorifici come caramelle.
Uno è un criminologo dalle straordinarie capacità investigative. L'altro è un medico prodigioso. Sono Lincoln Ryhme e Gregory House: i due disabili più famosi della cultura pop contemporanea. Eroe letterario il primo - creato dalla fantasia dello scrittore Jeffery Deaver -, protagonista, il secondo, di una delle serie televisive più amate di tutti i tempi (ideata da David Shore), Ryhme ed House hanno il merito fondamentale di avere rappresentato la loro condizione in modo totalmente anticonvenzionale.
Verrebbe da dire quasi "anarchico". Un merito tanto grande quanto grande è il bacino popolare dei fruitori delle loro avventure (l'ultimo caso di Ryhme - "Il filo che brucia" - è stato edito da pochi giorni da Rizzoli, le vicende di House sono trasmesse attualmente sulle reti private e satellitari). Chi li conosce sa che i due hanno molto in comune: dal carattere a dir poco scontroso a una visione totalmente disillusa della vita e del genere umano; da un approccio scientifico e raziocinante che mette al bando empatia e sentimenti (a Ryhme interessano solo le tracce delle scene del delitto, ad House i sintomi e i referti) a un egocentrismo esasperato ed esasperante dove tutto è ridotto a una sfida personale.
Svelare un crimine per Ryhme e raggiungere una diagnosi per House sono conferme di sé e nient'altro, in una visione assolutamente estranea alla compassione (laica o religiosa che sia ) del "chi salva una vita salva il mondo". Per loro, infatti, il male - quello dell'anima che genera i delitti o quello del corpo che genera malattie - sopravvive e ci sarà comunque: l'importante è che, se chiamati alla sfida, l'enigma alla fine sia decifrato.
Al di là di queste evidenze, tuttavia, a ben vedere la comunanza più autentica dei nostri eroi è un'altra, e non ha nulla a che fare con l'approccio alla Sherlock Holmes che caratterizza le loro indagini (anche se il personaggio è stato sia per Deaver che per Shore un modello di ispirazione). Ryhme ed House sono Ryhme ed House innanzitutto perché "disabili". Perché - in quanto menomati nel fisico - vivono il mondo in una condizione di perenne svantaggio. Perché ogni loro azione quotidiana è spesso una rinuncia o, comunque, una lotta. Perché soggetti agli sguardi imbarazzati e commiseranti del prossimo.
Ed è in questo contesto che il detective e il dottore trovano il loro più solido elemento di valore. Ryhme e House non si limitano, infatti, a bandire ogni forma di pietismo manifestato dagli altri (aspetto, questo, di per sé lodevole, ma in fondo scontato), né ad accettare con spirito di sacrificio la propria condizione. Ryhme ed House "odiano" la loro disabilità - l'investigatore, ne "Il collezionista d'ossa", sua storia d'esordio, medita il suicidio, mentre il diagnosta persegue la sua tossicodipendenza da Vicodin con una volontà autodistruttiva - e non lo nascondono in alcun modo.
Senza infingimenti: anzi, con una rabbia orgogliosa, quasi eroica. Né vittime né martiri, si ribellano al loro stato e lo contrastano nell'unico modo in cui possono farlo: continuando a essere se stessi malgrado tutto, affermando la loro identità - l'uno di cacciatore di criminali, l'altro di cacciatore di malattie - proprio con la negazione dei propri limiti. Ribadendo ogni volta al mondo la consapevolezza di una eccezionalità intellettuale che nessuna tetraplegia o embolo potranno mai incrinare. Se Ryhme è condannato a un'immobilità quasi totale ed House vive schiavo di un dolore che solo i farmaci gli permettono di placare, la loro mente continua ad essere veloce, velocissima, instancabile. E loro lo sanno.
E' proprio su questo scarto - nel divario tra un corpo imprigionato e un intelletto che resta inarrestabile - che il loro agire trova il significato più autentico. Ed è su questa capacità di dare un significato così alto, vero e umano al disagio che Ryhme ed House alla fine smettono di essere dei semplici personaggi di fiction e diventano un modello universale, vicino a tutti. (ls/roma)