L'inasprirsi dei combattimenti tra forze governative e la milizia di Al-Shabaab a Mogadiscio ha causato, questa settimana, dozzine di vittime e di feriti. Molti altri sono stati costretti ad abbandonare le proprie case.
L'Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i Rifugiati (UNHCR) condanna il protrarsi dei combattimenti indiscriminati in Somalia dove, molto spesso, le case e le altre strutture destinate alla popolazione civile, poiché situate in zone densamente popolate della capitale, diventano facili bersagli.
Gli avvenimenti della scorsa settimana evidenziano l'importanza dei ripetuti appelli dell'UNHCR attraverso i quali l'Agenzia ONU invita i governi a valutare le domande di asilo di persone provenienti dalla Somalia centrale e meridionale in maniera più ampia possibile. Nei casi in cui lo status di rifugiato non venga concesso, l'UNHCR chiede ai governi di estendere forme complementari di protezione internazionale per garantire ai somali la residenza legale fino a quando miglioreranno le condizioni per un loro rimpatrio in sicurezza.
Più di 300mila su 1,4 milioni di sfollati interni in Somalia si trovano a Mogadiscio. La maggior parte degli sfollati vive in condizioni di povertà e degrado, in accampamenti spontanei nella Somalia meridionale e centrale.
L'UNHCR esprime preoccupazione per le notizie di continui rimpatri forzati di rifugiati e richiedenti asilo somali dall'Arabia Saudita alla capitale somala. Secondo i partner locali nel solo mese di giugno sono stati espulsi dall'Arabia Saudita verso Mogadiscio circa 1.000 somali. Anche a luglio sarebbero già state rimpatriate circa 1.000 persone.
Secondo i rapporti di monitoraggio ricevuti da Mogadiscio, la maggior parte dei rimpatriati dichiara di essere fuggita dalla Somalia a causa dei conflitti, delle violenze indiscriminate e della violazione dei diritti umani. Moltissimi dicono di provenire dalla Somalia centrale e meridionale e da Mogadiscio. La stragrande maggioranza sono donne, tra cui alcuni casi estremamente vulnerabili, come quello di un nucleo familiare diviso - una giovane donna, fuggita dai violenti scontri in Somalia nel 2007, arrestata mentre si recava al mercato in Arabia Saudita e deportata a Mogadiscio con i suoi due bambini (uno di tre anni e l'altro di sei mesi).
Alcuni rimpatriati hanno raccontato di essere inizialmente fuggiti nei paesi vicini, compreso lo Yemen, per chiedere asilo. Molti hanno dichiarato di essersi recati presso l'ufficio dell'UNHCR del posto e di aver ricevuto lo status di rifugiato.
La maggior parte ha dichiarato di aver lavorato in Arabia Saudita per un certo tempo e che molti di loro non erano in contatto con l'ufficio dell'UNHCR a Riyadh. Prima del loro rimpatrio forzato, dicono di essere stati trattenuti in centri di detenzione per diverse settimane in condizioni che molti descrivono come terribili.
L'UNHCR ritiene questi rimpatri forzati incompatibili con le proprie linee guida sui bisogni di protezione internazionale dei rifugiati e richiedenti asilo somali. L'UNHCR chiede pertanto alle autorità saudite di astenersi in futuro da ulteriori rimpatri forzati. L'UNHCR sta negoziando con le autorità saudite al fine di introdurre una comune procedura di censimento prima di effettuare rimpatri a Mogadiscio. Si tratterebbe di un misura incoraggiante.
L'UNHCR continua a chiedere ai governi di garantire protezione ai civili somali che fuggono da situazioni di conflitto, di violenza e grave violazioni dei diritti umani in patria. Secondo l'UNHCR, i rimpatri forzati in Somalia centrale e meridionale mettono le persone in una situazione di grave rischio, viste le condizioni umanitarie e di sicurezza in quel paese. Tutti i governi sono sollecitati ad osservare con attenzione queste linee guida e di impegnarsi ad assistere chi è costretto a fuggire dalla Somalia.