Le Associazioni cristiane dei lavoratori italiani esprimono «seria preoccupazione» per la sorte dei 245 rifugiati eritrei reclusi nel centro di detenzione di Braq, nel sud del deserto libico. Le notizie giunte dalle agenzie internazionali secondo le quali, dopo i maltrattamenti subiti nei giorni scorsi, gli oltre duecento cittadini eritrei sarebbero in pericolo di vita, spingono le Acli a chiedere «un deciso intervento del governo italiano su quello libico».
Per il presidente nazionale delle Acli, Andrea Olivero, «la situazione di assoluta precarietà alla quale questi uomini sono costretti, la impossibilità da parte degli organismi umanitari internazionali di accedere ai campi di detenzione libici e la conseguente impossibilità di  verificare le condizioni di salute dei reclusi, impone, un intervento straordinario che liberi i cittadini eritrei dal rischio di dramma  umanitario».

Nel chiedere «l'immediato accesso al Centro di Braq delle organizzazioni umanitarie», che potranno prestare l'opportuno soccorso e verificare il rispetto dei trattati internazionali in materia di protezione umanitaria, le Acli propongono al governo italiano, anche al fine di «scongiurare la possibilità di rimpatrio forzato», di «trasferire momentaneamente in Italia i 245 cittadini eritrei». «E' in gioco il valore inviolabile della vita umana» ribadisce il presidente Olivero.

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