Il pallone da calcio è spesso causa di lavoro e sfruttamento minorile, come sottolineano le stime delle organizzazioni umanitarie. Solo nella regione di Sialkot (Pakistan), da cui proviene l'80% dei palloni mondiali, il 25% dei cucitori coinvolti nella produzione (in tutto 160 mila persone) sono bambini.
Un'industria che continua a valere cifre da capogiro (1800 miliardi di lire era la stima all'epoca) e che rilancia sul mercato mondiale 70 milioni di pezzi ogni anno. Ottanta dollari è il prezzo medio con cui viene immesso sul mercato ogni pallone che costa 7,5 dollari all'azienda che lo commercializza.
Ma il cucitore di Sialkot riesce a guadagnare solo mezzo dollaro per ogni pezzo finito. Un dollaro e mezzo al giorno in tutto, che non basta a mantenere le numerose famiglie pakistane, composte spesso da quattro - sei figli. Ecco perché nelle attività di cucitura vengono coinvolti anche i bambini.
Le conseguenze di questa piaga sono non solo sociali, i bambini cucitori non sanno spesso né leggere né scrivere perché non possono frequentare la scuola ma anche sanitarie: questa lavorazione provoca, alla lunga, artrosi nelle articolazioni delle dita, danni alla schiena, capogiri, strabismo.
Per questo da diversi anni il marchio Fairtrade è sinonimo di qualità non solo tecniche, che ai bambini desiderosi di correre dietro un pallone poco interessano, ma di certificazione del lavoro secondo i canoni del commercio equo e solidale. I palloni fairtrade sono realizzati da Vision Technologies, un' azienda di Sialkot che come sottolinea Malik Jamell, manager di Vision che dal 2005 è parte del sistema Fairtrade,
"Il Fairtrade ci permette di aumentare i nostri guadagni ma quello che veramente importa è che i nostri cucitori ricevono un prezzo giusto per il loro duro lavoro".
Sono diversi i marchi sportivi che si avvalgono del lavoro della Vision Technologies e che testimoniano la scelta apponendo il marchio Fairtrade sul pallone.