Abbiamo presentato a Roma la quinta edizione di Libero Cinema in Libera Terra, il festival che anche quest'anno attraverserà l'Italia, da nord a sud, per portare il cinema nelle terre confiscate alle mafie e ora restituite alla collettività.

Un progetto frutto della collaborazione fra Libera e Cinemovel Foundation, parte di quell'impegno contro le mafie che vuole unire dimensione culturale e sociale, percorsi educativi e costruzione di opportunità e diritti per le persone.

In questo sforzo a dissodare il terreno, a renderlo fertile, capace di ricevere e nutrire semi di speranza, anche l'arte può fare la sua parte. Arte come capacità di rappresentare il nuovo, di vedere e andare oltre la superficie delle cose, di tradurre in un linguaggio accessibile ma non banale le aspirazioni più profonde delle persone, la fame di bellezza e di giustizia, la sete di conoscenza. Quando esprime questo, l'arte diventa un fatto non solo estetico ma sociale, educativo e, in senso lato, politico. E dà una mano a sconfiggere la superficialità, l'indifferenza e l'egoismo di cui si nutrono le mafie. Perché loro vogliono attorno a sé sudditi compiacenti, ignari o impauriti, non cittadini responsabili dei propri diritti e doveri.

A questo pensava Nino Caponnetto quando diceva che "le mafie temono la scuola più della giustizia", alla forza della cultura come pensiero critico, desiderio di autodeterminarsi, di difendere la propria e altrui dignità dalle mafie e dai fenomeni che vi gravitano attorno: corruzione, illegalità, abusi, sfruttamento.

Per la sua capacità di incidere nell'immaginario delle persone, il cinema può fare allora moltissimo. Un bel film, capace di saldare la forza dell'immagine con la ricchezza del contenuto, può innescare la voglia di "esserci", di vivere la vita non da spettatori, di lasciarsi toccare e provocare da quello che accade attorno a noi.

Ma il rischio di banalizzare e generare falsi miti è molto alto. Per molte opere di valore, ce ne sono altre che vanno a rimorchio del "filone commerciale", sensibili più alle ragioni del botteghino che a quelle della cultura. C'è allora una responsabilità della parola e dell'immagine da tenere sempre presente, tanto più quando si usano mezzi espressivi dal forte impatto. C'è da chiedersi, ad esempio, se un certo modo di parlare delle "mafie", attraverso vicende fortemente romanzate e spettacolarizzate, non accrediti l'idea che mafie e antimafia siano mondi distanti dalla vita quotidiana e quindi fuori dalla portata di ciascuno di noi.

Quando si tratta di temi così delicati, che riguardano la nostra vita, il nostro essere corresponsabili gli uni degli altri, la realizzazione del "bene comune", la rappresentazione deve stare attenta agli eccessi di "colore", agli "effetti speciali", agli schematismi. Deve stimolare la sete di conoscenza, l'assunzione di responsabilità, la speranza. E portare alla luce quel legame profondo che esiste tra etica ed estetica.
Perché la vera bellezza non è mai solo esteriore o fine a se stessa. La vera bellezza - quella che salda forma e sostanza - è sempre immagine di un "oltre", premessa di una conoscenza che si manifesta come ricerca di verità e di giustizia.

don Luigi Ciotti

Partner della formazione

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