Il volume "Carcere e diritti sociali" di Giuseppe Caputo, pubblicato da Cesvot in "Briciole" (n. 24, aprile 2010, pp. 223) nasce dall'esperienza di formazione, ricerca e lavoro volontario maturata nelle carceri toscane dall'associazione L'Altro Diritto, centro di documentazione su carcere, devianza e marginalità.
Al centro del libro un tema di grande attualità ma troppo spesso lasciato in ombra: gli effetti della carcerazione sui diritti dei detenuti, in particolare sui diritti sociali, sul diritto al lavoro e alla salute.
Quando entriamo in carcere - scrive Giuseppe Caputo - scopriamo che "la gran parte delle norme che dovrebbero garantire i diritti dei detenuti, quelli sociali in particolar modo, sono pure affermazioni di principio". Quello dei diritti dei detenuti è, infatti, un tema sul quale c'è non solo poca consapevolezza ma anche pochi studi. Come scrive nella prefazione Emilio Santoro, docente presso il Dipartimento di Teoria e Storia del Diritto dell'Università di Firenze e fondatore dell'associazione L'Altro Diritto, "questa carenza di analisi è sorprendente e preoccupante considerando gli impressionanti numeri della popolazione penitenziaria".
In Italia sono 67.444 le persone detenute (in Toscana 4.459), 25mila in più rispetto ai posti letto regolamentari. Nel 1999 erano 29mila. Dal 1990 al 2009, nonostante i reati siano aumentati appena del 13%, la popolazione detenuta è aumentata di oltre il 100%, perché? Come spiega Giuseppe Caputo, la risposta sta nella carcerazione preventiva: i detenuti non definitivi sono la metà del totale.
Il libro si sofferma in particolare sul lavoro penitenziario e sui diritti sociali che ne dovrebbero scaturire. Solo ¼ dei detenuti ha accesso al lavoro penitenziario, ma si tratta di lavori saltuari e fortemente dequalificati, che non possono in alcun modo contribuire al trattamento risocializzante. Le retribuzioni per il lavoro penitenziario sono inferiori del 15% rispetto ai minimi previsti dai contratti collettivi nazionali di lavoro del 1993. Con la misera retribuzione (3 euro l'ora) quei pochi detenuti che riescono a lavorare possono a mala pena sopperire ai bisogni alimentari, ma di fatto non accedono ai diritti previdenziali che spettano a tutti i lavoratori: "il periodo trascorso in carcere è per loro un tempo inutile", scrive Caputo.
Chiude il volume un capitolo dedicato ai detenuti stranieri. Gli stranieri sono iper rappresentati in carcere: rappresentano il 6,5% del totale dei residenti in Italia ma il 37% dei detenuti. Dal 1990 la presenza dei detenuti stranieri in Italia è più che quadruplicata. Una delle ragioni, secondo l'autore, è che agli stranieri si applica molto più facilmente che agli italiani la custodia preventiva in carcere: nonostante gli stranieri siano in media il 20% dei condannati, essi sono quasi il 40% dei detenuti.
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