Le camice rosse si sono arrese. Che la giornata sarebbe stata quella della svolta, nel bene o nel male, era nell'aria da ieri. Ma stamattina (ieri per chi legge) la tensione a Bangkok era più pesante degli altri giorni. Alle 8, nel quartiere di Cbong Thai, gli spari delle armi risuonavano come mai era successo da giovedì scorso. Nella notte i rossi avevano spostato le loro barricate in avanti. L'esercito, dall'altra parte di Rama IV, invece, era avanzato, stringendo il cerchio in tutte le aree fuori controllo. In mezzo, tra i due, solo copertoni bruciati e rottami. Ai lati, negozi e banche dati alle fiamme.

Ma l'inferno nel quartiere della resistenza armata è iniziato attorno alle 10, quando è giunta notizia che i militari erano entrati dentro al presidio. Venti minuti di scontri a fuoco. Colpi impazziti ad altezza d'uomo da una parte e dall'altra. Un giovane thailandese che lanciava molotov colpito alla schiena. Cade a terra, urla. I medici della Croce Rossa tentano di soccorrerlo. Disinfettano, verificano se il proiettile è ancora dentro al corpo. Caricato sulla barella ripartono di corsa, ma dopo pochi metri sono costretti a tornare indietro.

I cecchini appostati sul grande palazzo in costruzione di fronte sparano a chiunque si muove. Non c'è un luogo sicuro. I giornalisti, tra cui il sottoscritto, tentano di abbandonare l'area. Ma i proiettili piovono da tutte le parti. Dall'altro lato della strada, la gente urla e si sbraccia verso di noi. Cercano di chiamare la Croce Rossa, che non osa muoversi. A terra, feriti o morti non si sa, ci sono quattro persone.

Quando la situazione si calma, inizia il vandalismo. I rossi bruciano tutto quello che trovano, palazzi, banche, supermercati. È il caos. I pompieri fanno quello che possono, ma anche per loro non è facile. I tassisti sono nel panico. In questi giorni hanno scarrozzato aventi e indietri la stampa internazionale, senza mai dire no. Ieri, invece, si rifiutavano categoricamente di entrare in certe zone.

Rachaprasong, quella che oramai a Bangkok chiamavano la cittadella rossa, alle luci dell'alba è completamente accerchiata. Mentre nelle zone degli scontri i militari sono avanzati mantenendosi ad una distanza di sicurezza, qui sono a pochi metri dalle canne di bambù e copertoni. I primi a sfondare sono i reparti nella zona Sud, quella di Sala Daeng. I rossi provano a resistere. C'è una sparatoria, violenta ma non lunga.

È qui che muore il fotoreporter italiano Fabio Polenghi . Un colpo allo stomaco, sparato non si sa da chi o da dove e la corsa disperata ma purtroppo inutile verso l'ospedale. I soldati avanzano armati fino al centro del presidio, sotto al palco. Arrestano molti uomini, mentre donne e bambini rimasti trovano rifugio nel tempio buddista o sotto le tende della Croce Rossa.

In molti, prima di arrendersi, bruciano hotel di lusso, supermercati, centri commerciali e anche il palazzo della Borsa. I pompieri corrono avanti e indietro. Intanto il governo annuncia l'inizio del coprifuoco: dalle 20 alle 6 del mattino. All'esterno dell'area degli scontri c'è il vuoto. Non si vede nessuno. Le uniche notizie arrivano via Twitter dai giornalisti locali. Si parla di 9 persone morte all'interno del Tempio. Il governo cerca in tutti i modi di ristabilire l'ordine e annuncia che chi appicca incendi verrà giudicato in base alle leggi anti terrorismo: con la pena di morte.

Alle 23 anche Twitter smette di funzionare. Al posto della solita schermata c'è un messaggio in Thai dell'esercito. Si spengono le luci su tutta la città. Nessuno può sapere cosa succederà domani.

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