Era il 2006 quando l'Arci, insieme ad altre associazioni, ad accademici, esperti e operatori dell'informazione promosse Afgana - un percorso per la pace e la giustizia per l'Afghanistan. L'appello conteneva un piano serio e fattibile finalizzato a realizzare in tempi brevi una forte iniziativa
ONU per garantire la protezione dei civili e un processo di pace partecipato e inclusivo. Sono passati quattro anni. I paesi occidentali, insieme con l'Italia, hanno preferito proseguire sulla strada di un intervento militare subalterno alla guerra aperta ai talebani condotta dagli Stati Uniti. Ieri abbiamo marciato insieme a esponenti della società civile afgana da Perugia ad Assisi. E con convinzione oggi rilanciamo l'appello che arriva dalla Tavola della Pace:
"La guerra che stiamo conducendo in Afghanistan ci ha restituito questa mattina altri corpi straziati di soldati italiani. Altri morti, altri feriti, altro dolore, altro sangue che costringono tutti a riaprire gli occhi su questa tragedia. La morte, il dolore e il sangue scorrono tutti i giorni in Afghanistan ma a noi (ai nostri media, prima di tutto) fa impressione solo il sangue italiano. Ed è una vergogna che si aggiunge alla vergogna della guerra.
Di questa guerra gli italiani non sanno quasi nulla. Qui in Italia, nelle retrovie della guerra, siamo sottoposti al ferreo regime della censura. Qui (come in nessun altro paese al mondo), dall'11 settembre 2001 è persino vietato chiamare le cose con il loro nome. L'espressione "guerra in Afghanistan" è bandita. Ma tutto questo non ci aiuta a capire cosa dobbiamo fare.
"Qualsiasi propaganda a favore della guerra deve esser vietata dalla legge. Qualsiasi appello all'odio nazionale, razziale o religioso che costituisca incitamento alla discriminazione, all'ostilità o alla violenza deve esser vietato dalla legge." Articolo 20 del Patto Internazionale sui Diritti Civili e Politici (ratificato dall'Italia nel 1977)
Il dolore dei familiari dei soldati uccisi e l'angoscia di quelli feriti gravemente è anche il nostro. E' un dolore forte che ci deve spingere a fare qualcosa in più per fermare e non continuare a combattere questa guerra.
I nostri giovani soldati muoiono perché il governo continua a scaricare sui militari il compito di risolvere un problema che i militari non hanno nessuna possibilità di risolvere. Per questo il mostro della guerra continua da nove anni a fare stragi di vite umane, di legalità, di diritto e di diritti.
L'Italia deve uscire da questa guerra. Subito.
L'Italia deve abbandonare la via della guerra e impegnarsi a costruire un'alternativa politica alla guerra senza limiti. L'exit strategy è una sola: dobbiamo passare dall'impegno militare ad un impegno politico e civile a fianco delle popolazioni vittime decennali della guerra, dell'oppressione e della miseria. Dobbiamo sostenere la società civile afgana che s'impegna per il rispetto dei diritti umani, la ricostruzione e la riconciliazione (la più importante leva della democrazia in Afghanistan). Dobbiamo aumentare decisamente gli interventi di cooperazione con l'obiettivo di rispondere ai bisogni vitali della popolazione.
Ce lo hanno chiesto in questi giorni a Perugia anche Najla Ayubi coordinatrice dell'Afghan Woman Network e Abdul Khalil Narmgui, presidente di un'associazione di giornalisti afgani. Con loro abbiamo marciato ieri da Perugia ad Assisi e oggi non possiamo stare zitti.
Al Parlamento chiediamo di convocare subito una seduta straordinaria dedicata alla guerra in Afghanistan, alla revisione della politica dell'Italia e delle iniziative urgenti da assumere a livello nazionale e internazionale.
Alla Rai, servizio pubblico, e a tutto il mondo dell'informazione, chiediamo di organizzare un serio dibattito sulla guerra in Afganistan per aiutare gli italiani a capire cosa è accaduto, cosa sta succedendo e come si può fare per evitare di continuare a piangere inutilmente.
Chiediamo che a parlare non siano invitati solo i militari e i cosiddetti "esperti" ma anche i costruttori di pace, quelli che ieri hanno partecipato alla Marcia per la pace Perugia-Assisi, quelli che lavorano tutti i giorni per evitare queste inutili stragi".