In un nuovo rapporto, dal titolo "Iraq: civili nel mirino", Amnesty International ha chiesto alle autorità irachene di migliorare urgentemente la protezione nei confronti della popolazione civile, al centro di una nuova ondata di violenza mortale.
Secondo il rapporto di Amnesty International, ogni mese vengono uccise o ferite centinaia di persone, molte delle quali prese di mira per motivi religiosi, a causa dell'origine etnica o dell'identità sessuale o perché hanno osato denunciare le violazioni dei diritti umani. La perdurante incertezza sulla formazione del nuovo governo ha dato vita a una nuova spirale di attacchi, con oltre 100 civili uccisi solamente nella prima settimana di aprile.
"La popolazione irachena vive ancora in un clima di paura, a sette anni dall'invasione diretta dagli Usa. Le autorità di Baghdad potrebbero fare molto di più per la sua incolumità, ma continuano a non assistere le persone più vulnerabili della società" - ha dichiarato Malcolm Smart, direttore del programma Medio Oriente e Africa del Nord di Amnesty International.
L'organizzazione per i diritti umani sollecita le autorità irachene a impegnarsi maggiormente per proteggere coloro che sono particolarmente a rischio e portare i responsabili di reati violenti di fronte alla giustizia, evitando il ricorso alla pena di morte.
Pur attribuendo la responsabilità, in alcuni casi, alle forze di sicurezza irachene, alle truppe straniere o ad attori privati come le famiglie, Amnesty International sottolinea che la maggior parte delle uccisioni di civili vengono compiute dai gruppi armati, compreso al-Qaeda in Iraq, che mantiene una rilevante presenza nel paese nonostante la recente morte di tre suoi alti dirigenti.
I difensori dei diritti umani, i giornalisti e gli attivisti politici sono tra coloro che vengono assassinati a causa del loro lavoro. Il 13 aprile Omar Ibrahim al-Jabouri, direttore delle relazioni esterne dell'emittente televisiva Rasheed, ha perso le gambe nell'esplosione della sua automobile, cui era stata fissata una bomba, mentre si stava recando al lavoro a Baghdad.
Le minoranze etniche e religiose continuano a loro volta a essere prese di mira. A febbraio a Mosul sono stati assassinati almeno otto cristiani. In un caso, il 17 febbraio, i due studenti cristiani Zia Toma (22 anni) e Ramsin Shmael (21 anni), sono stati bloccati da uomini armati a una fermata dell'autobus e costretti a mostrare i documenti; immediatamente dopo, gli aggressori hanno aperto il fuoco, uccidendo Toma e ferendo Shmael.
Le donne e le ragazze sono particolarmente esposte alla violenza dei familiari e dei gruppi armati. Il rapporto di Amnesty International denuncia poche condanne per stupro e frequenti casi di "delitti d'onore", commessi dai parenti nei confronti di donne il cui comportamento è ritenuto contrario ai codici morali, come nel caso del rifiuto di sposare un uomo scelto dalla famiglia. Anche le attiviste per i diritti umani vengono colpite per essersi schierate dalla parte dei diritti delle donne.
Gli appartenenti alla comunità gay, in un paese dove l'omosessualità non è tollerata, vivono sotto la costante minaccia di violenza. Alcuni predicatori musulmani hanno chiesto ai loro fedeli di attaccare persone sospettate di essere omosessuali.
Spesso, le autorità non svolgono indagini esaurienti e imparziali sugli attacchi contro la popolazione civile, non arrestano i presunti responsabili e non portano questi ultimi di fronte alla giustizia. In alcuni casi, le stesse autorità sono sospettate di coinvolgimento in atti di violenza.
Il risultato di questo clima di sicurezza è che centinaia di migliaia di iracheni, tra cui un'alta percentuale di appartenenti alle minoranze, sono stati costretti a lasciare le loro case. I profughi interni e i rifugiati sono ancora più a rischio di subire violenza e di attraversare difficoltà economiche.
Amnesty International chiede alle autorità irachene l'introduzione immediata di misure per rafforzare la sicurezza dei civili, attraverso una consultazione con i gruppi a rischio che porti a individuare i provvedimenti più efficaci per la loro protezione.
Nel frattempo, sottolinea l'organizzazione per i diritti umani, è necessario che le autorità avviino adeguate indagini sugli attacchi contro i civili e sottopongano a processi in linea con gli standard internazionali i presunti responsabili, di chiunque si tratti.
Le milizie dovrebbero essere immediatamente disarmate e dovrebbe essere eliminato l'obbligo di dichiarare sulla carta d'identità l'appartenenza religiosa.
Amnesty International chiede altresì ai gruppi armati presenti in Iraq di porre immediatamente fine agli attacchi contro i civili, ai sequestri e alle torture.
Infine, l'organizzazione per i diritti umani sollecita la fine di tutti i rimpatri forzati di rifugiati in Iraq fino a quando perdurerà l'instabilità nel paese. Diversi governi europei stanno eseguendo rimpatri forzati in Iraq, persino nelle zone più pericolose del paese, in chiara violazione delle linee guida emesse dall'Alto commissariato delle Nazioni Unite per i rifugiati.
Amnesty International ha parlato con un gruppo di 35 iracheni rimpatriati a forza dal governo olandese il 30 marzo. Tra di essi c'era un turcomanno sciita di 22 anni originario di Tal Afar, una città a nord di Mosul, dove negli anni scorsi sono state assassinate centinaia di persone per motivi religiosi e politici e dove la violenza regna incontrastata. Il ragazzo, un mese dopo, era ancora a Baghdad, in cerca di un riparo.
"La continua incertezza sulla formazione del nuovo governo potrebbe contribuire a un'ulteriore escalation di violenza, di cui farebbe le maggiori spese la popolazione civile. La situazione rischia di andare di male in peggio. Tanto le autorità irachene quanto la comunità internazionale devono agire subito per pervenire altre morti evitabili" - ha concluso Smart.