All'indomani della decisione di Google di reindirizzare tutto il proprio traffico sui server di Hong Kong, cessando in questo modo di filtrare i risultati delle ricerche, Amnesty International ha dichiarato che la Cina dovrebbe rimuovere ogni restrizione su Internet. "Riconoscendo che la sua politica aziendale era incompatibile con l'autocensura richiesta per operare all'interno della Cina, Google ha sfidato le autorità di Pechino a rispettare il principio della libertà d'espressione sancito dalla Costituzione cinese" - ha dichiarato Roseann Rife, vicedirettrice del Programma Asia di Amnesty International. Google ha dichiarato ieri che le autorità cinesi potrebbero ora decidere di bloccare l'accesso al motore di ricerca google.com.hk. Gli utenti che criticano la decisione di Google sostengono che questo motore di ricerca fosse uno dei meno sottoposti a restrizioni. "Gli utenti che avevano sperato che Google non lasciasse la Cina e che criticano questa decisione, dovrebbero in realtà chiedere al loro governo come e perché Internet è censurato nel loro paese" - ha commentato Rife. Anche il sito di Amnesty International, www.amnesty.org, è bloccato. L'unico periodo in cui è stato accessibile è stato il secondo semestre del 2008. Reagendo alla decisione di Google, le autorità cinesi hanno accusato l'azienda di "aver politicizzato questioni commerciali". "Sono le autorità di Pechino ad aver politicizzato Internet, bloccando determinati motori" - ha precisato Rife. "Quando un governo limita la pubblica discussione e diffusione di idee su Internet, come fa regolarmente quello cinese, è quel governo a imporre la sua agenda politica e a stabilire i limiti del dibattito". Amnesty International ha documentato molti casi, tra cui quelli di Liu Xiaobo e Tan Zuoren, in cui le autorità hanno ridotto al silenzio difensori dei diritti umani, imprigionandoli per aver diffuso informazioni e testi attraverso Internet. In precedenza, Amnesty International aveva sollecitato aziende quali Yahoo!, Microsoft e la stessa Google affinché s'impegnassero a onorare le disposizioni della Costituzione cinese sulla libertà d'espressione. Amnesty International aveva chiesto a queste aziende anche di essere trasparenti circa i sistemi di filtro usati in Cina e sugli accordi intrapresi col governo di Pechino che avevano implicazioni sulla censura e sulla repressione del dissenso.

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