Sono le donne che hanno rinunciato a trovare un'occupazione. Il loro profilo in un rapporto Isfol: vivono per lo più al Sud e a incidere sulla loro condizione non sono solo fattori di natura economica, ma anche tessuto sociale e modelli culturali di riferimento
ROMA - Non lavorano e, soprattutto, hanno rinunciato a cercare un'occupazione: sono le donne "inattive" italiane, ben nove milioni e 787mila (dati Istat terzo trimestre 2009). Ma cosa spinge una donna a fare una scelta simile? Nella maggior parte dei casi - oltre alla difficoltà di trovare un impiego soddisfacente - a determinare la situazione è il modello culturale di riferimento, supportato dalla situazione familiare. A far luce su questo fenomeno in costante crescita sul territorio nazionale la ricerca, in fase di pubblicazione, "L'inattività femminile in Italia: analisi dei fattori determinanti", promossa dall'Isfol e realizzata attraverso la somministrazione di un questionario con tecnica Cati a un campione di 6.000 donne nella fascia d'età 25-45 anni.
Obiettivo dell'indagine, oltre a fotografare il crescente immobilismo lavorativo delle donne, anche trovare possibili soluzioni a un aspetto del mercato del lavoro che pone l'Italia in una posizione arretrata rispetto agli altri paesi dell'Unione europea. Nonostante la Strategia di Lisbona, infatti, imponga ai paesi membri di elevare il tasso di occupazione delle 15-64enni al 60% entro 2010, l''Italia, con un tasso del 46,6% è al di sotto della media europea ( pari al 58,3%) e ben lontana da questo obiettivo.
Il primo elemento significativo che emerge dai dati della ricerca realizzata dall'Isfol è l'elevata variabilità dell'inattività femminile sul territorio, caratterizzata dal doppio binomio Nord-lavoro/Sud-inattività. Mentre le regioni del Nord presentano, infatti, livelli di occupazione prossimi a quelli comunitari, le aree del Mezzogiorno mostrano in merito una stagnazione quasi di natura strutturale. A incidere sulla situazione non solo fattori di natura economica, ma anche le condizioni legate al tessuto sociale e al modello culturale di riferimento. Al Sud, inoltre, la maggior parte delle donne sono inattive non per loro scelta.
"Questa polarizzazione speculare si può spiegare con il concetto di copione territoriale, un sistema complesso di aspettative comportamentali legate ai modelli culturali e alle rappresentazioni sociali prodotti da un territorio", spiega Roberta Ristagni nel suo contributo "Coerenza e dissonanza nei percorsi di vita delle donne. Un approccio psicosociale all'analisi delle determinanti dell'inattività femminile", contenuto nel volume di ricerca. "Il fatto che la percentuale delle nolenti sia superiore a quella delle volenti ci induce a ritenere che al Nord come al Sud il modello di comportamento sia adattivo, tenda cioè ad adeguarsi alle istruzioni di copione e quindi al modello culturale prevalente".
Lo studio mette in evidenza inoltre che la maggior parte delle donne, sia lavoratrici, sia inattive vive in una condizione di dissonanza, affermando di lavorare o di non lavorare per scelta quando non è vero. A dire di aver scelto sono la quasi totalità delle occupate (circa il 98%) e circa il 65% delle inattive. A un riscontro più attento sulla base di indicatori meno diretti, queste quote scendono di oltre 40 punti percentuali: le occupate davvero convinte sono circa il 56% e le inattive convinte nemmeno il 23%.
"La notevole oscillazione intorno alla media delle donne che dichiarano di aver scelto il proprio status fa pensare che possa agire su di loro una sorta di tabù", spiega ancora Pistagni. "La cura della famiglia non può essere dichiarata un peso o percepita come tale e, allora, quando l'impegno familiare comincia a farsi oneroso, le occupate sembrano convincersi che non sono loro a scegliere di lavorare, e le inattive che hanno fatto bene a scegliere di esserlo". (ec/roma)