Nessun progresso sul fronte della lotta internazionale alla povertà. Complice la crisi economica, gli obiettivi di sradicare entro il 2015 fame e miseria rischiano di rimanere un miraggio per la maggior parte dei Paesi nel mondo. La denuncia arriva dall'ultimo rapporto del Social Watch People First, i cui dati sono stati diffusi nella giornata di ieri, 9 febbraio.
Il Social Watch è la rete internazionale della società civile - cui aderiscono anche le Acli - impegnata dal 1995 nello sradicamento della povertà e delle sue cause. Ogni anno viene monitorato il rispetto degli impegni internazionali da parte degli Stati in materia di politiche sociali e in relazione agli Obiettivi di sviluppo del Millennio.
Secondo Jason Nardi, portavoce del Social Watch Italia, «Studiando l'impatto sociale della crisi a livello internazionale, emerge che a pagarne le conseguenze più dure sono i Paesi impoveriti e le persone più vulnerabili. Fra le prime vittime del crollo dei mercati finanziari vi sono i più poveri che, spendendo dal 50 all'80% del loro reddito in beni alimentari, risentono maggiormente dell'aumento del costo delle derrate agricole. Ma anche le donne, spesso impiegate in lavori precari o a cottimo, con minori salari e più bassi livelli di tutela sociale».
Tramite l'Indice delle capacità di base (Bci), il rapporto del Social Watch analizza lo stato di salute e il livello dell'istruzione elementare di ciascun paese: il 42% degli stati analizzati ha un valore dell'indice Bci basso, molto basso o critico. A livello mondiale, emerge che nel 18% dei paesi è in atto una regressione in alcuni casi accelerata. Tra questi, il 41% fa parte dell'Africa subsahariana. L'Asia meridionale sta invece progredendo rapidamente, pur partendo da valori molto bassi, mentre in America Latina e nei Caraibi non si registrano miglioramenti. Al ritmo di sviluppo attuale, solo Europa e Nord America potrebbero raggiungere entro il 2015 valori accettabili dell'indice. Ciò significa che, in mancanza di cambiamenti sostanziali, per tale data gli Obiettivi di sviluppo del Millennio concordati a livello internazionale non verranno raggiunti.
Lo scenario desta ancor più preoccupazione se si considera che solo Danimarca, Norvegia, Svezia, Olanda e Lussemburgo hanno rispettato gli obiettivi delle Nazioni Unite, destinando almeno lo 0,7% del Pil all'Aiuto pubblico allo sviluppo. Nonostante le ripetute promesse del nostro governo, si prevede che l'Aiuto pubblico allo sviluppo in Italia subirà un drammatico taglio, scendendo dallo 0,2% del Pil a meno dello 0,17%. Al pari della Grecia e di poco al di sopra della Repubblica Ceca, l'Italia si ritrova così agli ultimi posti tra i paesi industrializzati.
Oltre allo stato di salute e al livello di istruzione, il rapporto evidenzia, tramite l'indice Gei, anche la disparità tra i sessi nei campi dell'istruzione, della vita economica e della gestione del potere. Rispetto all'edizione precedente le differenze tra uomo e donna non diminuiscono, ma anzi si polarizza il divario. Cresce inoltre la distanza tra i paesi virtuosi e quelli in cui la discriminazione è maggiore. In una scala da 1 (assenza di uguaglianza) e 100 (completa parità) la Svezia raggiunge 88 punti, la Finlandia e il Ruanda 84. Seguono Norvegia (83), Bahamas e Danimarca (79), Germania (78). Rispetto all'anno precedente, l'Italia perde due posizioni piazzandosi al 72° posto con 64 punti collocandosi dopo Grecia, Slovenia, Cipro e Repubblica Domenicana (66 punti).
La coalizione italiana del Social Wacth è composta, oltre che dalle Acli, da Arci, Campagna per la Riforma della Banca Mondiale, Fondazione Cultura Responsabilità Etica, Lunaria, Mani Tese, Ucodep, Wwf.
Allegati - [Clicca sul link per il download]:
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