Si può arrestare la degenerazione muscolare che si osserva nella distrofia muscolare di Duchenne*, grave malattia genetica dei muscoli? Una possibile risposta arriva da uno studio finanziato da Telethon e pubblicato sulla rivista Molecular Biology of the Cell** da Paola Bruni, professore di Biochimica presso l'Università di Firenze.

In condizioni normali, quando un muscolo subisce un danno viene riparato da particolari cellule di origine staminale, chiamate mioblasti: grazie a una vera e propria cascata di segnali chimici, i mioblasti vengono richiamati nella sede del danno e indotti a proliferare e a dare origine a nuove fibre muscolari. In condizioni patologiche, però, queste cellule staminali non producono nuovo tessuto muscolare, ma tessuto fibroso: di fatto, è come se i muscoli si riempissero di cicatrici, diventando sempre più rigidi, incapaci di contrarsi e di compiere la loro normale funzione. La sostituzione di tessuto muscolare con tessuto fibrotico (fibrosi) è un fenomeno caratteristico non solo della distrofia di Duchenne**, ma più in generale di tutte le malattie degenerative del muscolo scheletrico.

In questo studio Paola Bruni e il suo gruppo di ricerca hanno dimostrato per la prima volta il meccanismo con cui i mioblasti possano essere "dirottati" verso la fibrosi invece che verso la formazione di nuovo tessuto muscolare. Il meccanismo consiste nell'aumento della produzione di una speciale molecola, chiamata sfingosina 1-fosfato, che ha la particolarità di avere un effetto diverso sulle cellule a seconda di chi la riceve. Esistono infatti diversi recettori per la sfingosina 1- fosfato, localizzati sulla superficie delle cellule e capaci di mandare segnali ben precisi una volta che questa sostanza si lega a loro.
Per esempio, quando la sfingosina 1-fosfato si lega al suo recettore S1P2, manda ai mioblasti il segnale di trasformarsi in muscolo, quando invece si lega al recettore S1P3 li indirizza a differenziarsi in tessuto fibroso. E nell'insorgenza della fibrosi l'aumentata produzione di sfingosina 1-fosfato si accompagna proprio all'incremento del recettore S1P3.

L'idea dei ricercatori fiorentini è quindi quella di bloccare con dei farmaci il recettore S1P3, in modo da arrestare la produzione di tessuto fibroso che si osserva progressivamente nei pazienti distrofici o affetti da altre malattie degenerative dei muscoli: pur non curando la malattia si potrebbe comunque rallentarne la progressione e migliorare la qualità della vita di queste persone. Prossimo obiettivo è dunque verificare in vivo se il blocco selettivo del recettore S1P3 possa effettivamente arrestare la degenerazione dei muscoli.

Il progetto di ricerca di Paola Bruni è sostenuto anche dalla Fondazione De Agostini.

*F. Cencetti, C. Bernacchioni, P. Nincheri, C. Donati, P. Bruni, "Transforming growth factor-ß1 induces transdifferentiation of myoblasts into myofibroblasts via up-regulation of sphingosine kinase-1/S1P3 axis". Molecular Biology of the Cell, 2010.

**La distrofia muscolare di Duchenne è una malattia genetica dei muscoli dovuta all'assenza di una proteina chiamata distrofina. È caratterizzata da una progressiva degenerazione del tessuto muscolare, che provoca una progressiva perdita di forza muscolare, con riduzione delle abilità motorie. Con il tempo, la malattia compromette anche i muscoli del respiro e il cuore, riducendo notevolmente le aspettative di vita. Esiste anche una forma meno grave, quella di Becker, in cui la distrofina è presente, ma alterata: le manifestazioni di questa forma sono quindi più lievi e con esordio più tardivo. Al momento non esiste una terapia risolutiva per la malattia.
La qualità di vita dei pazienti può notevolmente migliorare con trattamenti sintomatici e pluridisciplinari (fisioterapia, valutazione della funzionalità cardiaca e respiratoria ecc.) che gestiscano i vasi aspetti della malattia: motorio, respiratorio e cardiaco.

Per informazioni: www.telethon.it/ricercainforma 

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