Sono già apparsi in questa sede interventi critici sulla sortita del Ministro Gelmini di introdurre un tetto del 30% per la presenza degli alunni stranieri nelle scuole e nelle classi. Si è già detto di come si tratti di una scelta sbagliata, propagandistica e inapplicabile, il cui unico effetto rischia di essere il rafforzamento del pregiudizio secondo il quale la presenza degli alunni stranieri rappresenta inevitabilmente uno svantaggio per gli alunni italiani. Inoltre l'imposizione di un tetto nazionale è poi ancor più incongruente in un quadro istituzionale ormai caratterizzato dall'autonomia scolastica e da crescenti responsabilità delle autonomie locali in materia di programmazione dell'offerta formativa.
Occorre ora mettere a fuoco cosa sia concretamente possibile fare per affrontare il problema reale - la tendenza alla polarizzazione etnica di diverse scuole - cui il governo sta offrendo una risposta di stampo populista. Diversamente dal luogo comune che dipinge gli alunni stranieri come ostacolo che ritarda i ritmi di apprendimento degli italiani, le classi in cui sono presenti anche non italiani producono migliori risultati di apprendimento (vedi anche indagine OCSE-Pisa) rispetto a quelle composte da soli italiani.
Non è difficile comprendere, infatti, come la presenza nelle scuole e nelle classi di diversità culturali e linguistiche rappresenti un'opportunità di arricchimento per tutti: sono maggiori gli stimoli per sviluppare competenze relazionali e comunicative (in particolare linguistiche) e capacità di assumere diversi punti di vista e di affrontare e risolvere situazioni problematiche.
Le positività dell'integrazione possono però trasformarsi in situazioni di difficoltà laddove un'eccessiva polarizzazione di scuole, frequentate quasi esclusivamente da migranti, provoca la fuga degli alunni italiani. Queste forme di ghettizzazione determinano l'aumento dell'insuccesso e della dispersione scolastica, per tutti e segnatamente per gli stranieri, già oggi molto più in difficoltà degli italiani, in particolare nella scuola secondaria, come dimostrano tutte le indagini sugli esiti scolastici.
Il problema è allora come evitare il formarsi di queste negative forme di polarizzazione, questione non semplice perché spesso sono i contesti territoriali e abitativi a determinare la scelta della scuola.
Il tema è stato affrontato dalla CGIL nell'ambito di iniziative su immigrazione e scuola, a seguito delle quali sono state inserite specifiche proposte nelle linee guida per la contrattazione sociale territoriale sui temi della formazione. Si tratta di attivare ambiti di confronto e di programmazione, richiamati dalla stessa circolare ministeriale (C.M. n. 2/2010), che realizzino accordi tra Amministrazione Scolastica, Enti Locali, Istituzioni Scolastiche.
In previsione e/o per promuovere questi accordi si apre uno spazio di azione sindacale per chiedere l'apertura di tavoli territoriali di confronto e negoziazione finalizzati a realizzare patti territoriali per l'integrazione e l'intercultura che prevedano una programmazione formativa volta a garantire migliori condizioni di inserimento scolastico e di promozione culturale e sociale per tutti, italiani e non italiani. Tutte le esperienze in atto che hanno ottenuto a proposito risultati positivi si basano sulla costituzione di reti tra scuole, enti locali, soggetti del terzo settore finalizzate a realizzare interventi di orientamento e accoglienza a livello interdistrettuale, corsi di prima alfabetizzazione, progettazione territoriale di attività di integrazione e intercultura, programmazione interistituzionale dell'utilizzo delle risorse.
In questo quadro è anche possibile realizzare una programmazione territoriale che orienti e coordini le iscrizioni degli alunni non italiani e che cerchi di regolare i flussi distribuendoli in modo equilibrato tra le diverse scuole della rete, lasciando alle scuole e ai territori la valutazione della "capacità di accoglienza" di ogni realtà scolastica, superando in questo modo l'assurda e ingestibile fissazione di tetti nazionali. Si tratta poi di ottenere le condizioni concrete per l'accoglienza e l'integrazione: facilitatori linguistici, mediatori culturali, formazione dei docenti, compresenze per i laboratori per l'alfabetizzazione linguistica e interculturale.
È quindi evidente il legame tra questi aspetti legati alle disponibilità di risorse e l'azione in corso di contrasto dei tagli del governo, che in questo modo si rafforza legandosi a progetti territoriali concreti e condivisi da un'ampia rete di soggetti sociali e istituzionali.