L'ONU ha lanciato un appello alla comunità internazionale dei donatori pubblici e privati per raccogliere 562 milioni di dollari.
Questa è la cifra stimata necessaria per finanziare le operazioni di soccorso e garantire cibo, acqua, cure mediche e rifugio ai circa tre milioni di haitiani colpiti dal sisma del 12 gennaio, nell'arco dei prossimi 6 mesi.

Nell'ambito di questo appello circa 120 milioni di dollari dovranno essere assicurati agli interventi dell'UNICEF: questa è dunque la somma che l'UNICEF da oggi chiede a tutti - Governi, cittadini, aziende di tutto il mondo - di contribuire a coprire. L'UNICEF ha un ruolo di primissimo piano in questa azione umanitaria, in quanto quasi metà della popolazione di Haiti è composta da bambini e ragazzi con meno di 18 anni.
Aiuti sotto scorta
Ieri pomeriggio e stasera sono atterrati all'aeroporto di Port-au-Prince i primi due voli umanitari carichi di beni di soccorso dell'UNICEF: cisterne di acqua, compresse di cloro per purificare le scorte idriche e sali reidratanti per curare la diarrea, minaccia letale per i bambini più piccoli in condizioni di scarsa igiene e acqua infetta.

«L'acqua è il bene più importante in queste ore, la gente deve avere acqua prima possibile» afferma Patrick McCormick, responsabile UNICEF per la comunicazione. Altri due aerei sono attesi a Santo Domingo, capitale della Repubblica Dominicana, nelle prossime ore, con un carico di 70 tonnellate di aiuti: tende, teli impermeabili e farmaci.
Le scorte saranno scaricate su camion e raggiungeranno Haiti via terra. «Haiti ha sempre avuto infrastrutture molto carenti. Circolare non è mai stato comodo da queste parti» prosegue McCormick. Il terremoto ha dato il colpo di grazia, distruggendo porti, ospedali, ponti e strade. Per non intasare l'aeroporto, unico punto di contatto con il resto del mondo (a parte il confine di terra con la Repubblica Dominicana), gli specialisti in logistica dell'UNICEF stanno mettendo a punto insieme ad altre agenzie ONU una catena distributiva incentrata su Santo Domingo.

Jimani, una città della Repubblica Dominicana al confine con Haiti, è rapidamente divenuta uno snodo di questo "corridoio umanitario". Qui giunge un flusso continuo di ambulanze che riversano nel locale ospedale feriti che ad Haiti non trovano qualcuno che possa curarli. «Port-au-Prince è finita, è un inferno.

Tutto è crollato. Dobbiamo aiutarli» racconta una cittadina di Jimani di ritorno dalla capitale haitiana. La speranza è che nella tragedia si attenui la rigida separazione tra Haiti e Repubblica Dominicana, le due metà di questa grande isola caraibica. Un problema ulteriore è dato dal clima endemico di violenza e insicurezza, acuito ora dalla disperazione e dalla fame.
Sono frequenti le notizie di depositi di organizzazioni umanitarie saccheggiati. «È indispensabile la scorta armata dei caschi blu dell'ONU per garantire una circolazione sicura degli aiuti e fare in modo che raggiungano le persone più bisognose» conclude McCormick.

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