Sono circa 600 le aree del pianeta su cui vive almeno una specie a rischio di estinzione. Quasi 800 in tutto. Sono gli animali minacciati o gravemente minacciati della lista rossa dell'Iucn, l'Istituto mondiale per la tutela della biodiversità. Nella "lista nera" uccelli, mammiferi, anfibi, conifere ed alcuni gruppi di rettili. Ad essere fortemente interessati dal fenomeno le regioni tropicali e i paesi in via di sviluppo, quasi sempre quelli con la maggior densità demografica registrata.
Un team di 13 organizzazioni internazionali composte da biologi e naturalisti, riuniti sotto il nome di Alleanza Estinzioni Zero, ha tracciato la mappa dei siti chiave. In alcuni di questi ci sono addirittura più specie a rischio. E ciascun posto identificato è l'unico in cui quel tipo di animale risiede, o ne contiene almeno il 95% della popolazione. Solo una minoranza di generi risulta totalmente protetta. Per il resto, riferisce il sito web della Bbc News, che ha diffuso in tutto il mondo l'allarmante studio scientifico, «la maggior parte di queste specie vive in singoli luoghi ed è continuamente esposta all'impatto umano che la rende altamente vulnerabile».
«Salvaguardare questo elenco di luoghi non è l'unica cosa da fare, ma se non li proteggiamo le estinzioni sono garantite» avvertono gli studiosi che se ne sono occupati. In realtà è anche un problema di costi. L'equipe di ricercatori ha stimato che per ciascuno dei luoghi chiave i progetti di tutela arriverebbero a costare annualmente fino ai 3 milioni e mezzo di dollari, anche se conforta la notizia che per il gran numero di essi si spenderebbe al massimo un migliaio di dollari.
«L'unico modo per ottenere risultati concreti - conclude John Fa, direttore di Scienza della conservazione della fauna selvatica di Durrell Wildlife - è collaborare in stretta sinergia con le comunità locali dei territori interessati. In Madagascar abbiamo ottenuto fondi per costruire scuole, pozzi, giardini e la comunità ha potuto toccare con mano i benefici che si ottengono proteggendo la fauna selvatica».
14 dicembre 2005
Rita Salimbeni
Fonte: La Nuova Ecologia