Sentenza della Corte di Cassazione: devono essere indennizzati gli infortuni provocati da sollecitazioni esercitate durante lo svolgimento di mansioni tipiche e dove la patologia - o la morte - possono essersi manifestate a giorni di distanza ROMA - La tutela la sicurezza dei lavoratori non deve riguardare solo sforzi "eccezionali" o attività che esulano da quanto previsto dal contratto, ma anche gli infortuni provocati durante lo svolgimento di mansioni "tipiche".
Anche là dove la patologia - o la morte - si sono manifestate a giorni di distanza. Nuova "stretta" in materia di sicurezza da parte della Corte di Cassazione con la sentenza n. 27831 del 30 dicembre 2009, relativa a un caso avente per oggetto il decesso di un lavoratore verificato dopo entro le 24 ore dalla fine del proprio turno lavorativo. In questo caso - è stato l'orientamento dei giudici - non può essere escluso il nesso causale tra lo sforzo legato alla prestazione lavorativa e l'evento che ha causato la morte.
L'interessato era, infatti, adibito a un'attività che richiedeva un intenso dispendio energetico e il suo decesso è stato, quindi, ritenuto riconducibile ad un infortunio lavorativo a tutti gli effetti. Tutto ciò - secondo la Cassazione - rende, in definitiva, legittimo da parte degli eredi formulare una richiesta di pagamento di rendita indiretta a carico dell'INAIL.
"Costituisce insegnamento di questa Suprema Corte che la causa violenta richiesta dall'art.2 del DPR n. 1124 del 1965 per l'indennizzabilità dell'infortunio - che agisce dall'esterno verso l'interno dell'organismo del lavoratore - è ravvisabile anche in uno sforzo fisico che non esuli dalle condizioni tipiche del lavoro cui l'infortunato sia addetto", recita la sentenza, "purché lo sforzo stesso, ancorché non straordinario o eccezionale, sia diretto a vincere dinamicamente una resistenza, ossia una forza antagonista, peculiare della prestazione di lavoro o del suo ambiente, e abbia determinato, con azione rapida ed intensa, una lesione".
"La predisposizione morbosa del lavoratore non esclude il nesso causale fra lo sforzo fisico (o le situazioni di stress emotivo ed ambientale) e l'evento infortunistico, anche in relazione al principio dell'equivalenza causale di cui all'art.41 cp, che trova applicazione nella materia degli infortuni sul lavoro", aggiunge, inoltre, la Cassazione, "dovendosi riconoscere un ruolo di concausa anche ad una minima accelerazione di una pregressa malattia e ben potendo, anzi preesistenti fattori patologici rendere più gravose e rischiose per il lavoratore attività in genere non comportanti conseguenze negative, provocando la brusca rottura del preesistente, precario equilibrio organico, con conseguenze invalidanti".