Di nuovo in Italia accadono cose che non hanno riscontro in nessun altro stato europeo o occidentale.
Non è la prima volta che esplode una violenza di massa di tali proporzioni né è la prima volta che la criminalità organizzata fomenta e dirige incursioni razziste che ricordano altri paesi e altre epoche oscure. Era già avvenuto a Napoli due anni fa con i roghi dei campi Rom.
Non è la prima volta che gli immigrati sono i soli a ribellarsi alla sopraffazione mafiosa e alla quotidiana negazione dei loro diritti da parte di padroni e caporali. Era già avvenuto a Castel Volturno poco più di un anno fa.
Viviamo in un paese così addormentato che solo coloro a cui la legge nega tutti i diritti, persino il diritto alla salute, e il diritto all'istruzione dei propri figli, infine il diritto di esistere, finiscono per restituire agli italiani una dignità che tutti sembriamo aver dimenticato.
A nessuno è importato dei lavoratori stagionali di Rosarno finché raccoglievano in silenzio arance e clementine per 20 euro al giorno, di cui 6,5 andavano al caporale per coprire la sua percentuale e pagare il trasporto sui campi, il pranzo e la doccia. A poco sono servite le denunce di qualche coraggioso reporter, di organizzazioni private come Medici Senza Frontiere, o più istituzionali come l'UNHCR in questi anni, sulla vita indecorosa, lo sfruttamento e la violenza cui erano costretti migliaia di immigrati, clandestini e non, nel sud del paese.
Solo oggi, come in un recente passato, mentre disturbano il normale e quotidiano tran tran della schiavitù con la loro ribellione, sembrano improvvisamente esistere. Un'esistenza che va rimessa nell'oblio.
Il Ministro degli Interni parla di eccessiva tolleranza verso l'immigrazione clandestina, mentre alcuni quotidiani hanno tranquillamente scritto a tutta pagina "Hanno ragione i negri" o "Mandiamoli a quel paese".
Strumentale e vergognoso ridurre tutto ad una questione giuridico formale: la maggior parte di loro sono in Italia da anni con un regolare permesso di soggiorno. Ma anche quelli che non ce l'avessero sono da tempo sfruttati dal settore agricolo, complice la mafia, e tenuti a bada nei sotterranei sporchi e maleodoranti della società. Utili al sistema, ma invisibili.
Tutto questo è la negazione dei valori per cui Banca Etica è nata.
E' soprattutto la negazione di quello che chiamiamo legalità, un valore che per la Banca non è negoziabile.
Per sostenere la legalità e costruire un mondo diverso e migliore sono nate, proprio in Calabria, tante iniziative che Banca Etica ha finanziato e sostenuto in questi anni: le cooperative di Monsignor Bregantini, Riace, la Cooperativa Valle del Marro. Ma anche il resto del Meridione, in Sicilia, in Campania, in Puglia e in Basilicata, ospita realtà che lottano contro la mafia, integrano gli "stranieri" e si adoperano per la giustizia sociale e la convivenza.
Proprio queste realtà, in questi giorni, hanno dato prova di solidarietà e di capacità di intervenire proprio dove lo Stato stava invece latitando.
Riace ha offerto solidarietà ed alloggio ai lavoratori stagionali cacciati da Rosarno.
Don Pino De Masi, ispiratore della Cooperativa Valle del Marro, ha evitato con la sua mediazione che le cose peggiorassero ulteriormente.
Il Consiglio di Amministrazione e i dipendenti di Banca Etica denunciano il degrado culturale, civile e politico nel quale questi eventi trovano terreno fertile e futuro e:
- chiedono che gli organi istituzionali competenti e le associazioni di categoria facciano sentire la voce della legalità e della giustizia, evitando di trasformare questi episodi in una vergognosa foglia di fico per nascondere problemi che chiedono da tempo risposte e decisioni;
- reclamano un trattamento umano e dignitoso per i lavoratori, siano essi regolari e non, per non essere colpevoli di sfruttamento collettivo quando sulle tavole arrivano le arance calabresi e altri prodotti della terra.
Non è credibile esportare democrazia da un paese che ha dimenticato la solidarietà, la giustizia, l'umanità. E non si può omettere che la responsabilità dei fatti di Rosarno ricade anche su tutti coloro che usufruiscono dei vantaggi di una economia che si basa sullo sfruttamento ed in cui evidentemente i concetti di concorrenza, trasparenza e responsabilità sono ignorati
11 gennaio 2010. Milano, Padova, Roma, Firenze, Palermo, Napoli, Bari, Bologna, Brescia, Treviso, Vicenza, Genova, Torino.
Il Consiglio di Amministrazione e i dipendenti di Banca popolare Etica e della Fondazione Culturale Responsabilità Etica.